Montalbano sono (di Cosimo Risi)

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Stasera torna in TV Salvo Montalbano con due nuovi episodi che faranno da traino all’ennesima replica dei vecchi. Dal 1999 si ripete senza sorprese il copione col Commissario più amato e meno imitato d’Italia. La frase “Montalbano sono”, che il nostro usa per rispondere al telefono, è divenuta un ritornello pari per diffusione solo a quella cinematografica di “My name is Bond, James Bond” senza la quale i seguaci di 007 rimarrebbero amaramente delusi.

Gli sceneggiati di Montalbano – Zingaretti hanno un successo planetario. Se capita di seguirli in doppiaggio francese, si perdono i suoni di quel particolare impasto di siciliano e italiano che caratterizza la neo-lingua di Andrea Camilleri. Non si perdono le movenze, per non dire i tic, del personaggio che lo denotano come italiano e mediterraneo. Più un archetipo che una persona vera.

Di straordinario nella scrittura dell’autore ci sta proprio la definizione del personaggio come modello di una razza. Un modello così stilizzato da non avere pari nella realtà. Il suo spessore etico è introvabile.

Lo riconosce Luca Zingaretti nel presentare gli sceneggiati. Montalbano è essenzialmente un uomo libero: libero perché inderogabilmente onesto. Nei romanzi il tratto emerge ancora più che negli sceneggiati. Montalbano è un comunista post litteram. Con il bagaglio spirituale del comunista d’antan.

La sobrietà e appunto l’onestà. Nessun ammiccamento alla ricchezza e al compromesso. Addirittura bacchettone riguardo ai temi di pubblico interesse. Molto meno, nel corso degli anni, riguardo alle vicende private, nelle quali l’originaria monogamia con l’eterna fidanzata Livia lascia il passo alle avventure. Effimere come si addice alle avventure ma vissute con l’intensità dell’attimo.

L’età non perdona neppure il Commissario che, nei dintorni dei sessanta anni, vuole sentirsi vivo accompagnandosi a donne giovani, alcune molto più giovani. La storia non dura, né potrebbe durare altrimenti ne risentirebbe l’ordito, ma dà la misura di una leggerezza  d’animo e, diciamo pure, di una vanità che cresce col crescere dell’età.

Montalbano paga i suoi difetti, specie quello di essere tutto d’un pezzo, con una carriera asfittica. Altri funzionari di polizia, con un curriculo di successi investigativi come il suo, sarebbero almeno questore se non prefetto. Egli invece resta al grado poco più che iniziale: a comandare un posto di polizia risicato quanto affiatato in una provincia sperduta, e peraltro inesistente, della Sicilia meridionale.

Nella finzione abita una casa abusiva, posta com’è sulla riva del Mediterraneo dove si avverte il soffio dello scirocco e si sente la voce del Muezzin dall’altra parte. E dove oggi approdano le navi a scaricare il loro fardello di fuggitivi da guerre e carestie. Le immigrazioni sono presenti nei romanzi a misura del loro numero nella realtà.

Se agli inizi si trattava di qualche naufrago tunisino come il figlio non adottato da Salvo e Livia, ora il fenomeno è di massa e mette in gioco un meccanismo poliziesco ampio. L’approccio di Montalbano è di apertura. A significare che i meridionali d’Italia non possono ignorare i meridionali del mondo. Una specie di unità nella diversità dei disgraziati per darsi una mano a vicenda. Perché se non si aiutiamo a vicenda, nessuno arriva in loro soccorso.

di Cosimo Risi

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