Cisal, per una autentica riforma della Giustizia, occorre osare di più

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CISALL’annunciata – e quanto mai auspicata – riforma della Giustizia, sembra essere oramai imminente. La CISAL – com’è noto e più volte affermato dai suoi massimi rappresentanti – ritiene che nessuna valida riforma della Giustizia potrà mai essere compiutamente realizzata senza un intervento radicale che miri alla piena e totale valorizzazione del personale che lavora al suo interno.

Per ribadire questa posizione, già portata all’attenzione del governo in alcune precedenti occasioni, Paola Saraceni – segretario Generale del Dipartimento Ministeri, Sicurezza e P.C.M. – ha preso carta e penna ed ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi; al Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Marianna Madia e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando, una lettera.

Nel corso degli anni – scrive la Saraceni –  la situazione di quanti lavorano in questo ambito si è andata progressivamente deteriorando, fino a diventare oggi assolutamente insostenibile.

I lavoratori del settore giudiziario, in particolare, mentre da un lato continuano ad assicurare il funzionamento dei loro uffici  – tra carichi di lavoro resi ancor più insostenibili dalle pesantissime carenze di organico determinate dal blocco del turnover, cui si vanno a sommare procedure estremamente farraginose e problematiche varie derivanti da insufficienza di risorse economiche e materiali e da  un’errata rivisitazione della geografia giudiziaria -, dall’altro aspettano un adeguamento  al costo della vita delle retribuzioni e, da circa venti anni, quella riqualificazione che i lavoratori di tutti gli altri ministeri hanno già avuto.

I lavoratori giudiziari, riunitisi in tantissime città in lungo e in largo nella Penisola, in comitati spontanei di protesta pacifica, rivendicano i propri sacrosanti diritti e chiedono a gran voce la “riforma dell’ordinamento professionale del personale giudiziario per legge”, come presupposto ineludibile di ogni riforma che si voglia chiamare tale. Rivendicazioni che la Cisal, condivide in pieno.

Anche all’interno del settore penitenziario – prosegue nella sua missiva il Segretario Generale -, tanto in quello degli adulti che in quello minorile, vige una situazione pesantissima. In quest’ambito, il personale si confronta ogni giorno con la drammatica realtà del sovraffollamento carcerario, che ha reso invivibili i nostri istituti e ci è costata la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Questi lavoratori – uomini e donne con competenze particolari, ben delineate e specifiche, nonché atipiche rispetto agli altri pubblici dipendenti – suddivisi tra personale c.d. “Civile” e di “Polizia” (quella penitenziaria, nello specifico) nonostante condividano le difficoltà ed i rischi del lavoro in carcere, sono inquadrati in due diversi comparti, con significative differenze contrattuali ed economiche, secondo una logica che incomprensibilmente  tende a dividere – invece di unire – il personale.

Tanto premesso – chiosa Paola Saraceni –  nell’ambito della riorganizzazione della giustizia, chiediamo di far confluire il personale del comparto ministeri in servizio presso i Dipartimenti dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile, all’interno dei ruoli tecnici del Corpo della polizia penitenziaria.

Crediamo fermamente che nel progettare una efficace ed efficiente riforma della Giustizia, quella di cui il nostro Paese necessita, non si possa prescindere dal valorizzare e considerare adeguatamente questi lavoratori che costituiscono il cuore pulsante, il motore trainante della macchina della giustizia, la cui professionalità non deve più essere mortificata ma, al contrario, merita un pieno e totale riconoscimento.

Ci auguriamo – conclude la dirigente sindacale – che le SS.LL. vogliano tenere nella debita considerazione quanto rappresentato dalla Cisal, nell’interesse primario del funzionamento dell’unico Ministero previsto dalla nostra Carta Costituzionale e nel comune intento di ridurre significativamente (quando non eliminare in via definitiva) la distanza, oggi esistente, tra cittadini e Stato.

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