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Rifiuti in mare: progetto per ridurre l’impatto attrezzi da pesca abbandonati

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Reti da pesca e polistirolo galleggiante continuano a invadere i nostri mari, con percentuali preoccupanti e in crescita. È quanto emerge da una prima stima che la Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente a tutela dei mari e delle coste italiane, ha effettuato al giro di boa di questo tour 2015. Come lo scorso anno, infatti, l’equipaggio dell’imbarcazione ambientalista sta portando avanti una specifica indagine sul marine litter galleggiante nei mari italiani che nel 2014 evidenziò la presenza di 27 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato. Di questi il 20% era rappresentato da reti e polistirolo galleggiante, frammenti o intere cassette che si usano per contenere il pescato, percentuale che fu superata solo dalle buste pari al 41% e dai frammenti di plastica al 22%.

La plastica è sicuramente il rifiuto più presente in mare, un materiale che è tra i più pericolosi: viene ingerita da cetacei, tartarughe e uccelli marini causando danni spesso letali e la sua frammentazione genera micro-particelle che, ingerite dai pesci, posso arrivare fino alle nostre tavole.

Per questo motivo da Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente a difesa del mare, viene lanciato il progetto  “Sviluppo sostenibile delle attività di pesca nelle Regioni ricadenti nell’Obiettivo Convergenza attraverso interventi ambientali, informazione e sensibilizzazione, anche con il coinvolgimento della ricerca scientifica”, promosso dall’Alleanza delle Cooperative Italiane coordinamento Pesca (composta da Agci Agrital, Lega Pesca, Federcooppesca). Obiettivo, sensibilizzare i pescatori di alcune regioni costiere (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia)  per ridurre l’impatto degli attrezzi da pesca abbandonati, attivando vere e proprie bonifiche dei fondali marini, avviando a un corretto smaltimento i rifiuti marini e prevenendo il problema.

“L’aumentata frequenza degli attrezzi da pesca abbandonati, persi o dismessi in mare (Ghostfishing, reti fantasma, il termine utilizzato nella letteratura scientifica) comporta un aumento degli impatti sugli habitat costieri interessati da attività di pesca – sottolinea Serena Carpentieri, responsabile Goletta Verde -. Si tratta di una situazione che sta peggiorando a causa dell’aumento delle operazioni di pesca e all’utilizzo di attrezzature in materiali sintetici resistenti ed estremamente durevoli, basti pensare che nylon ed altri materiali plastici  una volta persi, persistono nell’ambiente per secoli. Spesso nasse e reti vengono smarrite durante tempeste o in presenza di forti correnti, abbandonate o addirittura rimangono incagliate in altre reti o trappole precedentemente poste sui fondali. Tale fenomeno genera inoltre altre conseguenze, perdite economiche dirette e indirette per gli operatori del settore e danneggiamento dei principali habitat bentonici. Proprio per questo attraverso la realizzazione di questo progetto vorremmo sensibilizzare i pescatori a denunciare la perdita delle attrezzature e, parallelamente, promuoverne così il recupero”.

Secondo il Consiglio Generale della Pesca nel Mediterraneo (FAO) – che ha calcolato in oltre 6 milioni di tonnellate i materiali solidi e pericolosi di origine umana che vengono scaricati ogni anno nei mari del mondo – ben il 10% è costituito dalle “reti fantasma” e dagli attrezzi da pesca che vengono persi o abbandonati. Adagiandosi sui fondali, questi attrezzi causano un notevole impatto sulla biodiversità perché continuano a catturare pesci, danneggiando e ostacolando la vita di tutti gli organismi marini. Un esempio per capire la vastità del fenomeno è  riscontrabile anche dall’attività di recupero degli attrezzi e reti perse in Adriatico nell’ambito del progetto IPA dove in meno di un anno di indagine, sono stati raccolti quasi due tonnellate di reti e attrezzi persi in mare.

Nello specifico il progetto mira al raggiungimento dei seguenti obiettivi: bonificare porzioni costiere di mare in alcune regioni ricadenti nell’Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Sicilia) dagli attrezzi e reti fantasma disperse durante le attività di pesca; formare ed informare gli operatori della pesca per una loro crescita professionale; sensibilizzare target group privilegiati, sui temi della sostenibilità delle attività antropiche e della loro compatibilità con la conservazione delle risorse ed il rispetto dell’ambiente; promuovere un partenariato attivo tra scienziati ed operatori della pesca. Sono diversi i danni causati dalle reti abbandonate o perse, ad esempio la cattura continua di pesci – conosciuta come “pesca fantasma” – e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono che continuano a pescare, sottraendo risorse all’ambiente senza che nessuno ne tragga beneficio; l’alterazione degli ecosistemi dei fondali marini; la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni.

Il progetto prevede, inoltre, l’individuazione, la mappatura e il recupero degli attrezzi da pesca coinvolgimento i pescatori e i subacquei nelle fasi di recupero degli attrezzi fantasma e della loro localizzazione in mare. Il recupero consentirà di bonificare e ripristinare le naturali condizioni ambientali, contribuendo a ridurre il rischio di ulteriori incidenti e perdita degli attrezzi da pesca, a tutelare la sicurezza del lavoro dei pescatori.

Grande importanza sarà data alla gestione a terra delle reti e attrezzi recuperate che verranno avviati ad un corretto smaltimento ed al contempo sarà possibile istituire nei porti coinvolti nel progetto delle procedure pilota di raccolta delle reti da pesca che attualmente è carente in gran parte delle nostre marinerie. Tale approccio, consentirebbe di avviare ad una corretta gestione anche tutto il materiale plastico o di altra natura, che viene rinvenuto nelle reti da pesca e che, attualmente, proprio a causa della mancanza di una filiera per il recupero di questo materiale, viene rigettato in mare.

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