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Da ultras del Napoli a Direttore Commerciale della Salernitana: la storia di Massimo Carpino

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Ognuno ha una storia. E lui la sua non la rinnega. Massimo Carpino entra nell’entourage dirigenziale della Salernitana portando con sé il proprio passato. È stato un Fedayn del Napoli, il neo direttore commerciale della società granata fresco di nomina, componente (e pure autorevole) d’uno dei gruppi ultras più stoici e intransigenti del panorama nazionale. Scelsero l’acronimo “Eam” per dire al mondo ch’erano “estranei alla massa”, e forse proprio vivendo quella nicchia, l’élite tutta curvaiola d’una realtà di cui tutti parlano ma che in pochi conoscono.

Ha le spalle abbastanza larghe per non far finta d’ignorare che sul web, dopo la sua nomina da parte della proprietà Lotito-Mezzaroma, s’è scatenato il dibattito. E anche qualche polemica. «Fa parte del gioco, mi è capitato spesso nelle piazze in cui ho lavorato dover convivere con qualche pregiudizio», ammette Carpino a Metropolis in una intervista sul giornale oggi in edicola.

Ognuno ha una storia. E la sua racconta d’un quarto di secolo nella Curva B del San Paolo. «Sì, 25 anni respirando l’amore della gente verso una squadra, una casacca. Sono valori comuni, al di là delle città in cui si vive. «Qui c’è un potenziale forte, enorme, forse persino inimmaginabile. Sono stato dall’una e dall’altra parte della barricata, e credo che le due esperienze mi abbiano completato. L’avventura granata è per me un punto d’arrivo, tanto che la chiamata dei presidenti e del direttore Fabiani mi ha fatto accantonare subito altre proposte, anche di squadre di A. C’è un progetto importante, una società che vuole strutturarsi per competere ai massimi livelli in B. E spero anche per prepararsi a riportare questa piazza nella massima serie, ch’è la sua reale dimensione».

Dall’azzurro al Parma, passando per l’Atalanta e il Varese. Prima d’intraprendere la sfida della Salernitana: «M’immedesimo con tutto me stesso nel progetto che sposo. Ed è per questo che son riuscito a farmi apprezzare nei posti in cui ho lavorato. Perché il campanilismo e gli sfottò ci stanno, devono esserci, ma i risultati che si conseguono sono la cosa che conta che più. Finora sono riuscito a ottenere qualcosa continuando a vivere il calcio così come ho imparato ad amarlo. E voglio farlo anche qui. Con passione».  

Fonte Metropolis

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