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Campania e occupazione, ritratto choc del Censis: penultimi d’Europa

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Ogni residente della Inner London — il cuore della capitale del Regno Unito — può vantare un Pil che si avvicina alla somma di quelli registrati per sei cittadini della nostra regione (oltre che di molto superiore rispetto al doppio di quello dei residenti della Provincia autonoma di Bolzano, i più benestanti in Italia). Ma non è finita. Sempre la Campania — che nella graduatoria continentale del prodotto interno lordo procapite si piazza al posto numero 198 sulle 272 regioni Ue — scende addirittura sul penultimo gradino dell’Europa a 28 Paesi se si guarda alla classifica del tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni di età. Il Censis, ha presentato — al Padiglione Italia dell’Expo — un dossier sul «Futuro dei territori» (sottotitolo: «Idee per un nuovo manifesto dello sviluppo locale»). Studio nel quale lo stesso istituto guidato da Giuseppe De Rita rielabora anche dati di Eurostat aggiornati — in buona parte — alla fine dell’anno scorso. Numeri che, come visto prima, fotografano una Campania fanalino di coda continentale.

“Allarmanti i dati presentati dal Censis che tracciano una Campania alla deriva, dal punto di vista dell’occupazione. Sono a repentaglio i giovani, ma anche gli over 40. Continuiamo a sostenere che la cooperazione può costituire un’alternativa. Si insegni a diventare imprenditori di se stessi, a scoprire i propri talenti e a mettersi insieme”. Così Maria Patrizia Stasi, presidente di Confcooperative Campania, a proposito dei dati diffusi dal Censis, che ha presentato un dossier sullo sviluppo locale e sul futuro dei territori italiani.

“La Campania può diventare, alla stregua di alte regioni, una fucina di talenti, non per forza costretti ad emigrare, a scappare. Dalla politica alla scuola, noi sosteniamo una cultura del fare, del creare imprese intercettando i bisogni e proponendo servizi. Tante le esperienze di imprese nascenti nelle nostre reti, tante quelle di workers byout, ovvero di dipendenti che sono diventati imprenditori cooperativi. Sappiamo di sostenere un processo complesso, ancora non completamente sentito nei nostri territori, a differenza che in Trentino o in Emilia Romagna, dove la cooperazione si insegna. Ma, la verità, è che è in corso una trasformazione globale e la cooperazione vera, quella che non delocalizza e crea lavoro sui territori, può costituire la risposta a questo pessimismo. Trasporti, ambiente, servizi alla prima infanzia e agli anziani sono solo alcuni dei campi su cui investire. In cooperativa è più semplice. Noi ci siamo anche per questo”.

LA RICERCA DEL CENSIS. «L’Italia non è presente fra le prime venti regioni della Ue per tasso di occupazione: tali posizioni sono occupate unicamente da Finlandia, Germania, Regno Unito e Svezia» con riscontri che vanno dall’81,8% al 76. Il primo avamposto della Penisola «si colloca solo all’86esimo posto della graduatori»; si tratta, per la cronaca, (sempre) «della Provincia autonoma di Bolzano, che fa segnare un valore pari al 70,8%». La seconda regione italiana in classifica, invece, è appena al 130esimo gradino: «l’Emilia Romagna, nella quale il valore dell’occupazione si attesta al 66,3%, dato di poco superiore a quello della Valle d’Aosta (66,2%)». D’altro canto, spiega ancora il Censis, «le quattro realtà italiane del Meridione — Puglia, Calabria, Campania e Sicilia — si collocano agli ultimi quattro posti della graduatoria Ue, ben sotto i dipartimenti spagnoli di Ceuta e Melilla, la francese Réunion e addirittura di tutte le regioni della Grecia e del Portogallo». Per la precisione, Calabria, Campania e Sicilia, con valori intorno al 39%, fanno registrare tassi di occupazione inferiori alla metà del riscontro dell’«eccellenza europea», la finnica Åland.

TREND IN CALO. «Altro aspetto importante è che nelle regioni italiane (fatto salvo il caso di Bolzano, dove si è registrato un lieve incremento) nel periodo 2009-2014 il tasso di occupazione si è ovunque ridotto», in Campania dell’1,6%, «laddove nei territori delle prime venti aree europee monitorate si segnala una crescita (la più alta, pari al 6%, nella regione di Chemnitz, in Germania)». In sostanza, «negli anni della crisi si è andato ad ampliare il già forte divario di performance occupazionale tra i nostri territori regionali ed i best player europei».

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