Alessandro Preziosi al Teatro Verdi di Salerno in “Don GIovanni” di Molière

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Alessandro_PreziosiAl Teatro Municipale di Salerno “Giuseppe Verdi” da giovedì 18 a domenica 21 febbraio è in scena Alessandro Preziosi in “Don Giovanni” di Molière. Lo spettacolo si inserisce nella Stagione di prosa 2015-2016. La traduzione e l’adattamento è affidato a Tommaso Mattei con Nado Paone. Supervisione Artistica di Alessandro Maggi mentre la Regia è dello stesso Alessandro Preziosi.

LO SPETTACOLO. Le versioni del mito di Don Giovanni sono ben superiori alle donne sedotte dall’ammaliatore sivigliano e contano oltre 4000 riscritture. Numerosissime erano state le rappresentazioni teatrali con protagonista questo personaggio, la cui immensa fortuna letteraria era cominciata nel 1630, quando Tirso de Molina, probabilmente ispirandosi a racconti popolari che utilizzavano i padri Gesuiti, negli spettacoli edificanti dei loro piccoli allievi, facendone il prototipo dell’eretico blasfemo per definizione, scrisse il suo Burlador de Sevilla.

Venne in seguito ripreso dalla Commedia dell’Arte italiana, che lo incluse nel suo repertorio accentuando gli aspetti più comici della vicenda. Molière, attinge a queste fonti italiane e le rielabora per ricavarne un suo personale Don Giovanni, ritraendolo come un personaggio raffinato, cinico, dissacrante, in aperta opposizione con le convenzioni sociali, pronto a burlarsi anche della religione.

Nella scelta del Don Giovanni Khora.teatro ha intravisto nella compresenza di toni drammatici e comici, un materiale drammaturgico teso a coniugare l’esaltazione ed il senso tragico del personaggio archetipico, mito dell’individualismo moderno, e le mirabili leve sulle parti comiche, necessarie per meglio andare incontro al gusto del pubblico; il testo ideale nel compimento di una particolarissima trilogia di ambientazione seicentesca, Amleto, Cyrano, Don Giovanni.

Il Don Giovanni di Moliére non è un banale donnaiolo, collezionista di femmine per sfogo fisiologico o edonistico svago, ma a dominare è una volontà di potenza, di affermazione di sé che nasce da un vuoto esistenziale, da una sorta di noia metafisica, e insieme da un timore di fallimento, un Don Giovanni che, ormai prossimo al termine della sua carriera, sembra quasi svelare la maschera ipocrita della cinica empietà, per smascherare i cattivi pensieri e le ipocrisie della società in cui viviamo.

La scelta artistica prende le mosse non solo dalla straordinaria contemporaneità del classico – la cui rilettura si rende necessaria in considerazione del dilagante relativismo dell’attuale società in cui impera l’immagine fine a se stessa e si continua a riscontrare il totale sgretolamento dei valori -, ma soprattutto nell’ottica della messinscena come un omaggio sentito e coraggioso alla scrittura, al fascino dell’immaginazione e soprattutto al Teatro, in tutte le sue forme.

LA SINOSSI. L’opera, nota anche con il titolo di Don Juan ou Le festin de pierre (Don Giovanni o Il convito di pietra) è una commedia in cinque atti, in prosa, rappresentata la prima volta al Palais Royal il 15 febbraio 1665. E’ ispirata alla vecchia leggenda di don Juan (da cui lo spagnolo Tirso de Molina aveva tratto il famoso dramma El burlador de Sevilla), che tanto successo aveva avuto in Spagna, in Italia e quindi in Francia.

Don Juan, gentiluomo di corte, ateo, perverso, libertino, ha abbandonato Elvire, che tenta invano di riconquistarlo; gettato dalla tempesta sulla costa insieme al servo Sganarelle, è salvato da alcuni contadini. Seduce quindi Charlotte e Mathurine, due contadine attirate dalle sue promesse di matrimonio. Inseguito dai fratelli di Elvire, sempre in compagnia di Sganarelle si rifugia in una foresta, dove vuole costringere un povero a bestemmiare.

Dopo avere salvato la vita a don Carlos, fratello di Elvire, don Juan invita a cena la statua di un “commendatore” da lui ucciso in precedenza e la statua accetta. Mette poi alla porta il signor Dimanche, suo creditore, e risponde con insolenza e con scherno al padre don Louis che gli rimprovera la sua vita dissoluta. Dopo essere rimasto insensibile anche alle preghiere di Elvire, che vorrebbe farlo ravvedere, don Juan si mette a tavola e la statua del “commendatore” lo invita a sua volta a cena per il giorno dopo.

Don Juan finge di pentirsi di fronte al padre, ma confessa a Sganarelle di volersi servire ora dell’ipocrisia ed è appunto da ipocrita che risponde al fratello di Elvire. Compare sulla scena uno spettro, che concede a don Juan pochi istanti per pentirsi. Ma, poiché lui se la ride, la statua del “commendatore” lo prende per mano: su don Juan si abbatte un fulmine, la terra gli si apre sotto i piedi ed è inghiottito nell’Inferno, mentre il servo Sganarelle si lamenta per il salario arretrato che nessuno gli pagherà.

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