Un pensiero ‘ardito’ ma non troppo… di Tony Ardito

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tony_ardito_foto_2“Il problema non è intervistare il figlio di Riina, ma le domande che gli fai, le risposte che pretendi di ottenere, senza compiacenza, senza condizioni o perimetri da rispettare… Di fronte alla scomunica dei collaboratori di giustizia è il silenzio imbarazzato del conduttore la cosa grave.

O si fa un’intervista dove la danza la conduce il giornalista – sono le domande che fanno la differenza, l’autorevolezza, l’autonomia delle domande che non devono trafiggere l’intervistato ma pretendere verità – o si è di fronte ad un grande fratello imposto da Riina se no si sarebbe fatto intervistare da qualcun altro…” Questo è quanto ha dichiarato il giornalista e parlamentare Claudio Fava, figlio di Giuseppe – ucciso dalla mafia – vicepresidente della Commissione Antimafia, durante la audizione dei vertici Rai all’indomani della intervista di Bruno Vespa a Salvuccio Riina.

Al di là del clamore che la puntata di “Porta a Porta” ha suscitato e del valore professionale del suo conduttore, nel cui merito non oso entrare, ritengo sia questa la posizione che meglio sintetizzi il sentimento comune sull’accaduto. Non credo che facciano bene ad alcuno gli impropri paragoni con il passato; i richiami alle interviste di indiscussi maestri del giornalismo quale quella che Enzo Biagi o Joe Marrazzo fecero rispettivamente al pentito di mafia, Tommaso Buscetta ed al capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo – rigorosamente dietro le sbarre. Basterebbe visitare il web per rivederle e verificare che essi non risparmiarono nulla, assolutamente nulla ai propri interlocutori, incalzandoli, rintuzzandoli, ponendo domande ed intavolando argomenti tutt’altro che comodi.

In queste occasioni, penso si debba porre pure una questione di opportunità, la quale prescinde persino dall’effetto mediatico che produce uno “scoop”; anche perché, paradossalmente, una simile intervista può rivelarsi più utile agli scopi di colui che la concede, anziché alla informazione ed a coloro che ne fruiscono.

Al netto di qualche maldestro tentativo di imporre il bavaglio, nel nostro Paese la libertà di opinione non sembra affatto in discussione. I media continuano a veicolare con indisturbata disinvoltura ogni tipo d’intercettazione di personaggi pubblici e ad indagini ancora in corso; sui social campeggia ogni sberleffo persino, sul privato dei nostri vertici istituzionali e non solo, e sovente ben oltre la satira o la ironia. Nei talk, siamo ormai abituati ad assistere a siparietti in cui eminenti giornalisti e direttori di importanti testate si producono – talora sprezzanti – contro i rappresentanti dei partiti e del Governo. Ed allora, immagino che sarebbe piaciuto a molti vedere che quella medesima veemenza, quel modo di porsi e porre, fossero stati parimenti riservati all’indirizzo di Giuseppe Salvatore Riina, ospite del primo salotto televisivo d’Italia, non certo quale provetto scrittore, ma soggetto già condannato per associazione mafiosa e figlio di Totò, il capo dei capi.

editoriale a cura di Tony Ardito

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