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Qui si fa l’Europa o si muore di Angelo Giubileo

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C’è qualcosa, come grossolanamente si usa dire, che non va, o comunque non va più nei rapporti tra UE e USA e, soprattutto in ragione della Brexit, plausibilmente non va più tra l’Ue e gli Stati europei che, per cultura tradizione e storia, definiamo oggi angloamericani.

Infatti, alla vicenda citata della Brexit (che riguarda Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord, ma non l’Irlanda), si unisce ora la vicenda della multa, sentenziata dalla Commissione UE alla concorrenza, in danno della multinazionale statunitense Apple per un importo pari a circa 13,5 miliardi di euro di tasse non pagate a fronte delle attività esercitate nell’ambito del territorio dell’Irlanda dal 2003 al 2014.

La vicenda è assai complessa e, non solo per i particolari finora emersi, tale da non poter dar luogo a un’analisi, che non risulti nei fatti approssimativa; e tuttavia, svariati sono i profili, e in particolare quanto all’attuale sistema internazionale di relazioni sia geopolitiche che economico-finanziarie. Il nuovo fronte, appena aperto, vede schierati da una parte la Commissione alla concorrenza, e quindi un organismo esecutivo dell’UE; dall’altra, i governi USA e irlandese. Una decisione dunque che, sul fronte opposto alla Brexit, pone ora anche l’Irlanda “fuori” (out) dal contesto geopolitico “europeo” di più immediato riferimento.

La Commissione dell’Ue contesta all’Apple e al governo dell’Irlanda l’applicazione di una disciplina legislativa nazionale che avrebbe finora consentito alla multinazionale statunitense di pagare, in ordine agli utili prodotti nel paese, soltanto lo 0,005% di tasse, contro il 12,5% “compatibile” con la normativa europea di riferimento. Il meccanismo fiscale, che è all’origine della controversia, deriva da una pratica internazionale, finora consolidata o almeno accettata o consentita, di “tax ruling”.

Pratica che consente alle imprese che svolgono attività in più paesi nazionali, a seguito di lettere d’intenti inerenti al calcolo dell’imposta, di scegliere il paese ritenuto più vantaggioso per la destinazione dell’imponibile. Il meccanismo, a cui si è accennato e di cui ha finora beneficiato l’Apple in Irlanda, è stato ora considerato dalla Commissione alla Concorrenza UE alla stessa stregua degli “aiuti di Stato” dichiarati “incompatibili” dall’art. 107, comma 1, TFUE.

Il TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) insieme al TUE (Trattato sull’Unione Europea) costituisce quello che grossolanamente è detto diritto costituzionale europeo; e tuttavia il nodo centrale, non solo della presente questione, risiede nel fatto che la pratica incorsa tra l’Apple e l’Irlanda sarebbe giudicata lecita dagli accordi internazionali stretti tra il paese europeo e la multinazionale statunitense ma illecita dagli accordi internazionali viceversa stretti tra il paese europeo medesimo e l’Unione Europea, di cui il paese è però membro a tutti gli effetti di legge.

Pertanto, a prescindere dai successivi approfondimenti e sviluppi della vicenda in sè, ritengo già estremamente chiara e significativa, addirittura per il destino dell’Europa che verrà, soprattutto la dichiarazione del Dipartimento del Tesoro USA del 26 agosto u.s., laddove – come riportato da numerosi media – ha rivolto all’Unione Europea il seguente monito, testualmente: “State diventando un’autorità sovranazionale in tema di tasse e così facendo minacciate gli accordi internazionali sul piano fiscale”.

E, tutto ciò, in concomitanza dell’annuncio del fallimento dei negoziati sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Infatti, il giorno dopo la dichiarazione citata, il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel ha dichiarato, direi a sua volta, alla stampa mondiale: “I negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non possiamo accettare supinamente le richieste americane”.

No taxation without representation è un principio americano facilmente riconducibile al dettato dell’art. 12 della Magna Charta Libertatum, ovvero l’atto normativo con cui il re d’Inghilterra Giovanni Plantageneto (noto come Giovanni Senzaterra) concedeva ai baroni del Regno il diritto a che nessuna imposta potesse essere applicata dal Re se non approvata dal concilio del Regno. Dovremmo plausibilmente fare a meno dei britannici di ieri, ma è bene ribadirlo: è sulla capacità di costruire un’Unione fiscale, sostenuta da una politica estera e di sicurezza comune, che si gioca il destino, possibile, della “nuova Europa”.

Angelo Giubileo

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