Roma è in stato d’abbandono e Aleppo non se la passa meglio (di Cosimo Risi)

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cosimo risiWoody Allen fotografò magistralmente la fine delle ideologie: Marx è morto, Dio è morto, ed io non mi sento tanto bene! Per chi sta a Roma da residente o di passaggio – e capita a moltissimi di noi, tant’è che Roma è la seconda città della Campania – la litania sui mali di Roma fa parte del paesaggio, come le mura aureliane e lo sporco dei cani sui marciapiedi. Ora  pure il giornale del Vaticano  s’accorge che la capitale è in stato d’abbandono.

Il giornale sa di cosa scrive se, come sembra, parte degli immobili cittadini, fra cui alcuni di massimo pregio, fanno riferimento alla galassia ecclesiastica. A parlare dei mali di Roma ci conforta malignamente notare che neppure Aleppo se la passa meglio.

Aleppo è una città semi distrutta, peggio del terremoto potette e può la furia umana di bombardamenti e combattimenti casa per casa. Buona parte degli abitanti è evacuata, gli ospedali distrutti, per non parlare degli altri servizi pubblici che, già carenti in epoche tranquille, sono oggi del tutto inagibili. Eppure Aleppo è un’importante città del Medio Oriente. Una meta anche turistica di quando i turisti potevano recarsi in Siria e godere della stabilità garantita dal poi vituperato regime degli Assad.

Hafez Al-Assad, il Padre, e Bashar Al-Assad, il Figlio, si sono passati lo scettro del potere nell’avvio di una repubblica dinastica che invece non riuscì, per l’interruzione dell’esperimento, a Muammar Al-Qaddafi in Libia e Hosni Mubarak in Egitto. La repubblica dinastica siriana regge alle turbolenze, grazie soprattutto al sostegno degli amici: gli Hezbollah del Libano, gli iraniani di Iran, soprattutto i russi di Russia.

A Ginevra, nella cornice dell’Albergo President Wilson, così intitolato perché Woodrow Wilson vi fondò la Società delle Nazioni, i Ministri degli Esteri di Russia e Stati Uniti tengono una conferenza stampa congiunta per annunciare che in Siria sta per scattare la diminuzione delle ostilità. Non il cessate il fuoco  né la tregua, ambedue obiettivi troppo ambiziosi in questa fase, ma un decremento delle violenze che, a termine, dovrebbe consolidarsi in tregua. La prudenza di Kerry e Lavrov è comprensibile.

Gli attori americano e russo sono alcuni della compagnia che recita sul palcoscenico siriano. Altri stanno nascosti dietro sigle impronunciabili e cangianti: Al-Qaeda – Al Nusra, Daesh – Isis, eccetera. Per non parlare di Bashar Al-Assad che, pressato dai russi, non potrà che assentire: qualsiasi tregua non fa che valorizzarne il ruolo di stabilizzatore e corroborarne il potere. La sua cacciata da Damasco, che era data come indispensabile da quanti intervennero in Siria, ora non è più “a top priority” (una priorità assoluta). In altri termini e tautologicamente: Assad se ne andrà quando se ne andrà.

Aleppo ha bisogno di trovare una magra tranquillità, gli abitanti hanno bisogno di non fare più fagotto per cercare l’accoglienza pelosa altrove, il Medio Oriente ha bisogno di attendere le elezioni americane. Vige una regola non scritta nelle relazioni internazionali: durante la campagna elettorale americana si sta col fiato sospeso. L’apnea è destinata a finire a gennaio 2017, quando il nuovo (la nuova) Presidente giurerà nelle mani del Presidente della Corte Suprema.

di Cosimo Risi

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