Come si costruisce il mito con l’assenza: il caso di Mina (di Cosimo Risi)

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cosimo risiMina, basta il diminutivo d’arte di Anna Maria Mazzini, vive appartata da una quarantina d’anni a Lugano, in quella Svizzera italiana così vicina alla natia Lombardia eppure così lontana per costumi e modi di fare. In Svizzera, specie in quella interna, si rifugiano i notabili di molti paesi: tutti in cerca di facilitazioni fiscali, di efficienza pubblica, di rispetto maniacale della privacy. Se si toglie Roger Federer, che sostituisce Guglielmo Tell nell’immaginario nazionale, qualsiasi campione dello sport, dell’impresa, dello spettacolo può camminare per strada indisturbato, consumare il caffè al bar senza che l’ammiratore di turno lo indichi al vicino o peggio lo avvicini per l’autografo o il selfie. Tutti si peritano di non riconoscere il personaggio neppure quando entra al ristorante ed il maitre sulla porta gli chiede il nome e se ha prenotato.

Mina ha scelto tutto questo ed alimentato cogli anni la leggenda metropolitana, che come tutte le leggende ha un fondo di verità, di essere talmente inavvicinabile da essere impalpabile. Esiste davvero la persona Mina o è soltanto una voce che da qualche punto dell’universo registra canzoni, a volte da sola e ora col fido Adriano Celentano? Provocando “lo schiamazzo” (per dirla con Camilleri – Montalbano) di un sicuro successo annunciato e di uno speciale televisivo RAI, dove si ripercorre la carriera dei due e dove Lei non appare se non in immagini di repertorio, nel languore del bianco e nero e di acconciature talmente fuori moda che sembrano di ultimissima moda.

Mina è il cruccio di qualsiasi Console Generale e Ambasciatore d’Italia in Svizzera. E’ una nostra connazionale illustre, eppure non compare, non può essere invitata alla festa nazionale né ad altro evento di beneficenza o di semplice presenza. Tu sai che ci sta e sai pure che è come se non ci stesse. Qualcuno narra di averla sorpresa mentre si reca in chiesa. A che ora e quale chiesa? Altri narrano di averla vista a fare compere in centro. Il centro di Lugano è concentrato, più piccolo di quello di Bologna “dove non si perde neanche un bambino” (per dirla con Lucio dalla), nel caso di Lei pare più grande e affollato del centro di Roma, dove non ritrovi nessuno neanche su appuntamento.

A Roma i locali della movida, da Trastevere a Testaccio, sono tappezzati di foto illustri con dediche, alcune risalenti all’epoca della Dolce vita. Immancabili quelle di Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e ora di Carlo Verdone e perché no dell’altro Gassman e dell’altro De Sica. A Lugano non esiste la collana dei belli e famosi, non esiste alcuna iconografia neppure al LAC, il museo multimediale di nuova creazione, che sembra un’astronave appena approdata sulle sponde del Lago Ceresio e che sarebbe il luogo ideale per l’impossibile rientro di Mina.

Di Mina ascoltiamo la voce, che suona limpida malgrado gli anni che pure per Lei passano ma senza lasciare traccia di arrochimento, e rubiamo qualche video ritoccato mentre canta davanti al microfono e con le cuffie a coprire le orecchie. Pare che quest’ultimo disco, Le migliori, sia stato registrato da lontano: Mina nella sala di Lugano, Celentano in quella di Milano. E poi che abili produttori l’abbiano mixato in studio, talché è lecito pensare che neppure l’amico Adriano sia stato ammesso a vederla. Di Mina parla il figlio Massimiliano Pani, che condivide il soggiorno svizzero, e che a Lei si riferisce sempre in terza persona: non “mia madre”, sempre e soltanto Mina.  Mina pure per lui deve essere  un’entità immateriale, la pura voce. Non The Voice, ché il titolo è riservato a Frank Sinatra, ma la coscienza del nostro divenire. Finché canta Mina vuol dire che tutti noi abbiamo sentimenti da coltivare.

di Cosimo Risi

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