Paolo Gentiloni, presidente incaricato tra un non più e un non ancora (di Tony Ardito)

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tony-arditoLa agenda internazionale regge la agenda interna. La designazione di Paolo Gentiloni Silverj, ministro degli Affari Esteri del governo Renzi,  quale presidente del Consiglio incaricato, risponde a questa priorità.

Il 15 dicembre si riunisce a Bruxelles il Consiglio europeo, che è chiamato a deliberare in materia di migrazioni, sicurezza e difesa, solo per parlare dei punti più urgenti e significativi. A marzo la capitale ospita la cerimonia del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma.

L’appuntamento era stato immaginato dall’esecutivo uscente come il punto di svolta verso una Unione diversa, più dinamica e solidale, che assorbisse senza troppi scossoni l’uscita del Regno Unito. Sempre a marzo il governo di Londra dovrebbe formalizzare la domanda di recesso, atteso che il groviglio delle Corti non ritardi la procedura.

In maggio, a Taormina, si terrà il G7, sarebbe la prima volta in Europa del presidente Trump. Una occasione imperdibile per le diplomazie europee che si confronterebbero da vicino con colui che ad oggi è considerato come “l’oggetto misterioso”: The Donald. E poi l’Italia entrerà in Consiglio di Sicurezza ONU quale membro non permanente nella parte della staffetta che le spetta con i Paesi Bassi. Per non parlare delle scadenze ordinarie: la valutazione della Commissione sul bilancio italiano, la valutazione della Banca Centrale Europea sullo stato di alcune nostre banche, gli aiuti di Stato che si potrebbero configurare se si intervenisse a favore di Alitalia, eccetera.

A fine anno bisognerà decidere del futuro del Fiscal Compact: se introdurlo nella legislazione europea o lasciarlo a margine come adesso. Sul Fiscal Compact si appuntano le massime critiche del governo Renzi, che attribuisce a quella intesa, raggiunta dall’esecutivo Monti, le cause principali della politica europea di austerità.

Il calepino di Gentiloni e dei suoi ministri è intenso, si tratta di comprendere se tutto possa essere affrontato nei tempi  brevi di una legislatura che si vorrebbe cortissima.

L’Italia ha sì necessità di un governo che ne garantisca, innanzitutto, la tenuta dell’assetto istituzionale, ma anche di voltare pagina e di poter decidere chi dovrà guidarla, attraverso il passaggio dalle urne, ma con una legge chiara che favorisca in primis la elezione e non la nomina dei parlamentari.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ben lungi da egocentrismi, sta operando un saggio quanto difficile compromesso tra la esigenza della contingenza e quella di democrazia emersa forte dal recente referendum, persino oltre la dialettica, spesso volgare, della politica.

Fuor di retorica, i partiti anziché occuparsi prevalentemente di poltrone dovrebbero invece impegnarsi a recuperare la necessaria funzione di filtro tra la società, i suoi bisogni e le istituzioni. Tuttavia, si dovrebbe tenere bene a mente che se a loro tutti va addossata la responsabilità piena e totale dello status quo, a noi elettori e cittadini va comunque ascritta una qualche complicità.

editoriale a cura di Tony Ardito

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