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La Casa Bianca di Donald Trump (di Cosimo Risi)

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Finalmente arriva il giorno del giudizio. Preceduto dalla fanfara mediatica che del Presidente eletto e prima ancora del candidato ha scritto di tutto e di più, il finalmente Presidente Donald Trump s’insedia alla Casa Bianca. La meteo benedice la cerimonia del giuramento, che si svolge non nella solita ghiacciaia di fine gennaio ma in un clima relativamente mite, ancorché battuto dalla pioggerellina da cui i numerosi ospiti non si possono proteggere con l’ombrello. L’occhiuta sicurezza presidenziale, il Secret Service di tanti film, ne impedisce l’uso persino ai VIP: l’ombrello potrebbe celare non si sa quale arma micidiale.

Qualcuno si ripara sotto l’impermeabile di platica da turista giapponese, la maggioranza dà prova di patriottismo lasciando bagnare le capigliature cotonate delle signore e la canizie dei signori.

A proposito di canizie, si nota quella splendida dello splendido Bill Clinton, che la vulgata dei social network pretende intento ad ammirare Melania Trump con un’insistenza tale da insospettire Hillary Clinton. La quale Hillary, memore degli sguardi malandrini e non solo del marito Bill, questa non gliela fa passare.

Ammirare la neo First Lady mentre io, Hillary, sono la Presidente mancata! Alla cerimonia sono presenti anche i coniugi Bush, lui, George Junior, stempiato e raggrinzito, esibisce il sorriso di chi l’ha fatta franca nonostante i molteplici errori che gli vengono rimproverati e sta sempre là, sulla Pennsylvania Avenue, a rammentare che la famiglia Bush di Presidenti ne ha avuti due e poteva averne tre se il fratello Jeb si fosse candidato per il Partito Repubblicano invece di cedere il posto a Trump.

Quando Melania, di Dolce & Gabbana abbigliata, e Donald, che avrebbe proprio bisogno di un sarto italiano quanto meno per misurare la lunghezza della cravatta, si avvicinano alla scalinata della Casa Bianca, sono ricevuti dai padroni di casa uscenti. I coniugi Obama sorridono ai nuovi venuti, che essi hanno cercato in tutti i modi di scoraggiare dal venire, ma si sa che nelle cerimonie bisogna sorridere anche a chi non ti va a genio. Il momento d’imbarazzo è dato dal dono che Melania consegna a Michelle sulla porta.

Un pacchetto col fiocco bianco (una scatola di cioccolatini o una parure di gioielli?) che Michele non sa dove depositare, finché Barack non glielo toglie di mano per affidarlo ad un collaboratore. Una First Lady, anche se ex da pochi istanti, non può avere le mani ingombre. Perché le mani, o meglio la mano, deve stringerla al coniuge Barack mentre insieme si avviano alla scaletta dell’Air Force One per l’ultimo loro volo a bordo dell’aereo presidenziale. Rotta stavolta  a Chicago e poi California.

Come Trump giura sui libri tenuti in mano dalla consorte, così Barack tiene la mano della propria consorte in una dimostrazione, l’uno e l’altro, che la famiglia è sacra come da  tradizione della frontiera americana. E d’altronde l’America è grande, questo è il motto di Trump che significativamente aggiunge “America First”. Come se l’America non fosse già grande di suo e avesse bisogno del nuovo Presidente per scoprire di essere al centro degli affari mondiali da almeno un secolo. Da quando l’Europa con le sue guerre mondiali mandò la chiave della civiltà oltre Atlantico. Da dove difficilmente tornerà se l’Europa non riprenderà a scrivere le pagine della storia.

Al di là delle considerazioni politiche sull’insediamento di Trump, la vicenda del nuovo Presidente americano insegnerà all’Europa se tirare a campare o darsi un sussulto d’orgoglio. E se cominciassimo a esclamare  “Europe First”?

di Cosimo Risi

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