Le solite turbe del bilancio italiano e delle minacce europee (di Cosimo Risi)

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Un detto francese “à chaque jour sa peine” (ogni giorno un guaio, tradurremmo in Campania) sintetizza quanto accade in questi giorni sulla rotta Roma – Bruxelles. La Commissione europea scrive al Governo italiano di rettificare certi conti del bilancio poiché sforano persino il margine di manovra che la stessa Commissione ci aveva accordato per considerare le varie esigenze.

La lettera è accompagnata dalle dichiarazioni del Commissario Moscovici, pur accreditato di colomba in quanto francese e socialista, che intende scorporare dal computo le nuove spese collegate all’emergenza terremoto e neve. Le mosse di Bruxelles suscitano reazioni piccate presso la componente ufficiale italiana e incoraggiano parte della stampa ad un classico esercizio.

L’esercizio è da aruspici: sondare gli ambienti tedeschi circa una zona euro senza l’Italia. La domanda che i giornalisti pongono ai talvolta anonimi interlocutori è vagamente iettatoria: se costi di più salvare l’Italia dal precipizio finanziario che costruire una zona euro mondata dell’insolvente Italia. Mentre  l’Italia ufficialmente smentisce che potremmo andare sotto, qualche partito si posiziona in chiave elettorale e predice un’uscita indolore dall’euro. E cioè la svolta  sovranista dell’Italia agli Italiani.

La Commissione dichiara di applicare quel coacervo di norme finanziarie, parte delle quali fuori dal Trattato sull’Unione europea ma frutto di accordi intergovernativi, che fu adottato nel pieno della crisi finanziaria di inizio decennio e sopravvive malgrado che la crisi sia un ricordo quasi ovunque. La contestualizzazione di quelle norme richiederebbe uno sforzo interpretativo che la Commissione non si sente di fare. Le ragioni del rigore sono di ordine finanziario e  politico.

Quelle di ordine finanziario sono presto dette: con i conti in disordine la crescita è fragile se non malsana, esaurito l’effetto della “bomba” monetaria lanciata dalla BCE, si torna al periodo pre-crisi. Quelle di ordine politico guardano alle prossime tornate elettorali che vedono impegnati vari stati membri. Prima la Francia con le presidenziali di maggio e poi la Germania con le politiche di settembre. Per non parlare dei Paesi Bassi e dell’Italia, che forse si avvia a elezioni a giugno o forse no. In ciascuno di questi stati la campagna si giocherà sull’ordine finanziario, sulle migrazioni incontrollate, sulle minacce alla sicurezza.

Le promesse delle forze politiche sui vari punti riflettono i rispettivi orientamenti. E’ prevedibile che il partito maggioritario in Germania punterà alla solita crescita controllata e che il centro-destra francese potrebbe allinearsi ad un rigore temperato. In ambedue i paesi, a meno che i sondaggi non sbaglino clamorosamente, le forze socialiste non dovrebbero correre per la vittoria. Anche se Martin Schulz, appena ha annunciato di candidarsi alla Cancelleria federale,  vola nei sondaggi e quasi affianca Angela Merkel. Ma siamo a mesi dal voto e Schulz sconta il vantaggio della novità!

La partita finanziaria è grossa e va giocata con accortezza. Il discrimine corre fra il rispetto di quel che resta d’Europa e la rincorsa a modelli apparentemente facili di autogoverno della moneta e della crescita. A sbagliare il posizionamento si rischia di brutto: e non tanto per il successo del leader di turno quanto della costruzione europea, di cui l’Italia è parte essenziale.

 

Cosimo Risi

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