Donna vuole abortire: ospedali le dicono “no” per 22 volte

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È successo nel 2015 a una libero professionista 41enne di Padova. Al 23esimo tentativo, vicina alla scadenza dei 90 giorni e grazie alle pressioni della Cgil, è riuscita a interrompere la gravidanza nella struttura della sua città, la prima a cui si era rivolta.

“Non c’è posto”, “Da noi sono tutti obiettori”, “È periodo di vacanze”. Una donna di Padova si è sentita dire per 22 volte “no” prima di riuscire a ottenere un suo diritto, l’interruzione volontaria di gravidanza. È successo in Veneto, regione con l’80 per cento di ginecologi obiettori di coscienza, dato tra i più alti d’Italia.

Solo al 23esimo tentativo, ormai vicina alla scadenza dei 90 giorni dal concepimento, la libera professionista 41enne è riuscita ad abortire nell’ospedale a cui si era rivolta per primo: quello di Padova. Ma solo grazie all’intervento della Cgil, a cui la donna aveva chiesto aiuto dopo le porte chiuse in faccia.

“Può sembrare un caso limite, ma non è l’unico” – Il caso, confermato dalla Cgil padovana, risale al 2015 ed è riportato dal Gazzettino. “Tutto purtroppo vero – dice il segretario cittadino, Christian Ferrari – E se serve un sindacato per ottenere un diritto che dovrebbe essere garantito dallo Stato il problema è davvero grosso”. Alessandra Stivali, segretaria confederale della Cgil padovana, è la persona che nel 2015 seguì da vicino il caso della 41enne.

“La cosa grave – dice – è che può sembrare una situazione limite, ma non è nemmeno l’unica. Altre volte, soprattutto con ragazze straniere che chiedevano di abortire, ci siamo trovati davanti a interminabili difficoltà e dinieghi, per una prestazione sanitaria che dovrebbe essere garantita dalla legge 194”. Alla fine è stata sufficiente, spiega Stivali, solo una piccola “pressione” sugli operatori della stessa azienda di Padova, che al primo tentativo aveva respinto la signora. In sostanza, sono stati contattati dal sindacato i responsabili del reparto di Ostetricia e Ginecologia, che sono riusciti a trovare un posto per praticare l’aborto entro il termine di scadenza. Sulla vicenda indagheranno anche i Carabinieri del Nas.

Il “giro dell’oca” della donna – Quello raccontato dalla professionista padovana, madre di due figli e che nonostante le precauzioni per evitare un nuovo concepimento si era ritrovata in attesa del terzo bimbo, è stato una sorta di “giro dell’oca”. Dopo il primo “no” di Padova, la donna ha allargato il raggio della ricerca. Prima le Usl vicine, del padovano: Camposampiero niente, Cittadella niente ancora, quindi Schiavonia e Piove di Sacco con lo stesso risultato. Pressata dalla scadenza dei 90 giorni, termine entro il quale la 194 consente di abortire, la donna si è attaccata al telefono e ha chiamato le Usl di altre province venete: Venezia, Vicenza, Rovigo, Verona. Arrivando anche fuori regione, con tentativi a Trieste e a Bolzano. In questi casi le risposte negative non avevano a che vedere tanto con i medici obiettori, ma con il fatto che l’interruzione di gravidanza deve essere richiesta alle strutture del territorio in cui si risiede. La signora, in sostanza, veniva invitata a ripartire dal punto di partenza, dall’Usl di Padova.

La Regione farà le verifiche – Il problema, ha spiegato la donna, “non è solo trovare un medico, ma anche un anestesista non obiettore di coscienza”. “Mi domando – ha detto – che senso abbia programmare una legge per dare diritto di scelta e poi non mettere nessuno nelle condizioni di farlo. Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso”. L’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, si è detto convinto che se in una struttura non c’è posto, o il ginecologo non riesce a praticare l’aborto, debba sentire i ginecologi di altri ospedali e trovare una soluzione. “Se non è andata così – ha aggiunto Coletto – faremo tutte le verifiche del caso per capire cosa è successo”.

Ancora polemiche – Il caso ha riaperto la polemica sul fronte politico. Per le senatrici del Pd Francesca Puglisi e Laura Puppato questa vicenda “conferma con grande evidenza che è necessario intervenire affinché la legge 194/78 sia attuata per davvero, così come è stato fatto nel Lazio”. Il riferimento è al bando dell’ospedale San Camillo di Roma, che tra le polemiche ha assunto due medici non obiettori. Le due esponenti Dem hanno deciso di presentare un disegno di legge che intende modificare l’articolo 9 della 194/78, prevedendo “che le Regioni provvedano ad attuare la normativa anche attraverso la mobilità del personale”.

Fonte Sky Tg24

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