Via Crucis in costume di Ravello: work in progress

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Misure, inventari, conteggi, prova costumi, cherosene, torce, terracotta o alluminio, iuta, balle di paglia, torrette, passaggi strategici di cavi e fari impiccati ai terrazzi più sporgenti, davanzali ad hoc per l’illuminazione migliore, trombe e palizzate, geometrie possenti di ganci, uncini, un “cruciverba” di pali per la più storica e commovente delle “esecuzioni”, per il più grande e generoso dei sacrifici.

E poi ancora scale in legno, sagrati che si apprestano ad essere momentaneamente stravolti, e palchi, prove, alberi finti gemellati con i fratelli tutti fogliame e nodosità, elenco degli Apostoli e dei figuranti, soldati ed adattamenti.

E’ una strategia comune ed appassionante che livella in maniera suggestiva e coinvolgente le generazioni: i bambini, entusiasti come in un gioco, ma composti, con la serietà che merita un evento innanzitutto religioso, si affiancano a chi possiede della Via Crucis in costume di Ravello, la memoria più autentica, il ricordo di anni ed anni di edizioni, di problemi da risolvere, come in questo caso, di acquisti dell’ultima ora, di postazioni, sopralluoghi, e manovre.

La novità e la curiosità siedono accanto all’esperienza, ancora una volta messa al servizio di un evento che appartiene a Ravello e alla sua identità. Ed all’energia dei più piccoli, dei giovani, si unisce quella di chi, rientrando dal lavoro, non disdegna di prestare la propria professionalità per il bisogno e le circostanze: si tratti di un fabbro, di una sarta o di un muratore.

Ed è questo, forse, mentre si succedono in una scaletta di regia precisa e minuziosa, le date e gli step del montaggio, passando di Chiesa in Chiesa, di via in via, supponendo, ipotizzando, delineando migliorie o aggiunte, che rende davvero speciale la Via Crucis di Ravello.

La comunanza e la consonanza di intenti che vanno dalla disponibilità a montare un palco al freddo e al vento, alla consapevolezza che, una volta chiuso l’evento, e smesso l’ultimo costume o sfilati gli ultimi calzari, bisognerà riportare Ravello al tempo attuale, sono i veri attori di questa “ giornata particolare” in cui ognuno è qualcun altro, e per farlo è disposto a fare prove fino a tardi, magari a  non dormire,  ad aggiungere al proprio lavoro ore di fatica, innegabile, ma sentita, partecipe, e sincera.

Fanno tenerezza i bambini, i giovani, con le schiene piegate a spiare e seguire il lavoro dei più grandi in fase di montaggio, fanno riflettere e sorridere gli “amarcord” dei partecipanti di tutte le edizioni precedenti e il loro modo, naturale e professionale, di “  spulciare” tra i  vari anni, ed individuare il dettaglio in più, la novità, o l’elemento da riprendere e tramandare.

Ecco, la Via Crucis di Ravello è come un racconto, una vecchia leggenda che il paese si passa di mano in mano, di bocca in bocca; è una tradizione che viene alle famiglie, alle porte delle case, con la stessa necessità di un qualsiasi altro evento liturgico.

E’ un patrimonio che sta nelle braccia, nei cuori e nella fatica di questa gente, a volte un po’ discorde su alcuni aspetti, ma è così che avviene quando ci si “litiga” un ospite importante; un’occasione che è di tutti, perché fatta da tutti, dal sudore, dall’intuito e dalla volontà, esemplare, di una popolazione. Poi certi dubbi verranno via, così come verranno via le torce, la iuta/ cambia epoca storica, i costumi dagli attori, le voci dalle trombe.

E ci si troverà con la solita stanchezza / voglia di ricominciare per una nuova edizione, per fare ancora meglio, per ripetere.  Perché le cose che ci appartengono fino in fondo, che stanno nel nostro sangue e nella nostra pelle, difficoltà a parte, non stancheranno e non divideranno mai.

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