Juncker e il discorso sullo stato dell’Unione (di Cosimo Risi)

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Il titolo è pomposo e richiama apertamente quello del Presidente degli Stati Uniti. Il discorso sullo stato dell’Unione (europea) è l’appuntamento di settembre fra la Commissione e il Parlamento europeo. Jean-Claude Juncker delinea a Strasburgo non tanto il bilancio dell’anno che fu ma le prospettive dell’anno che sarà. Il taglio è insolitamente ottimistico.

Dopo le lamentazioni del periodo di crisi finanziaria, ora che questa sta dietro alle spalle persino in Grecia e Italia, il Presidente della Commissione guarda all’avvenire con lo sguardo lucido di chi indica un progetto strategico.

Il Regno Unito è  archiviato. Brexit è una pratica da chiudere in fretta senza perdere troppi pezzi per amore di compromesso e facendo pagare il giusto prezzo ai fuoriusciti. Il che non sarà facile se si pensa alla resistenza britannica nelle sconfitte. Il successo in sala di Dunkirk di Nolan  testimonia della capacità britannica di trasformare la disfatta in premessa di vittoria. E’ acquisito che il caso britannico non fa proseliti neppure fra alcuni stati membri tendenzialmente eterodossi come quelli dell’Est.

Il Gruppo di Visegrad ha avuto la soccombenza dalla fresca sentenza della Corte di Giustizia sulla riallocazione dei profughi. Mugugna contro il dispositivo che taccia di “politico”, ma è consapevole che deve stare al gioco per non mettere a repentaglio gli aiuti strutturali. Il Gruppo resterà riottoso e impegnato in una campagna elettorale permanente  (si veda Orbàn in Ungheria), fino a rientrare nei ranghi appena la Germania avrà consumato il proprio rito elettorale.

Del tipo: voi polacchi e ungheresi e cechi e slovacchi attardatevi con la purezza della razza bianca che sarebbe inquinata dall’afflusso d’un gruppo di stranieri di colore, ma quando il gioco si farà duro sulle  prospettive finanziarie, allora a Berlino dovrete ricorrere perché Bruxelles vi accontenti.

Per quanto decentrata a nord-est dell’Unione, Berlino ambisce ad essere il centro di gravità dell’Unione, forte dell’asse con Parigi e dell’egemonia culturale che esercita sull’apparato brussellese.

Macron e Merkel sono accreditati di un piano per il futuro dell’Unione. Il piano contemplerebbe un nucleo ristretto di stati membri desiderosi di fare di più (specie in materia di finanza, sicurezza, difesa) ed un nucleo largo di stati membri da invitare nel nucleo di testa o, in mancanza, da lasciare in un ambito di minore potere.

La classica formula del “prendere o lasciare” che, diplomaticamente ammantata di proposte volte ad includere, porterà i recalcitranti a decidere dove collocarsi senza successivi tentennamenti.

La visione di Juncker  è invece di tipo classico: integrazione più stretta e da subito della totalità  dei Ventisette, senza scarti fra il gruppo di testa e il gruppo di coda. La visione  valorizza il ruolo della Commissione, che continuerebbe a vegliare, come da Trattato, sul buon funzionamento della casa comune.

Volendo sintetizzare drasticamente le posizioni: da una parte si affaccia un modello intergovernativo coi forti a guidare la marcia, dall’altra si ventila un modello integrazionista (federalista) con l’intero blocco  a marciare unito.

E’ presto per dire dove si collocherà l’Italia. A differenza della Germania che presto vedrà conclusa la campagna elettorale, il nostro paese vive una stagione di permanente dibattito  che dovrebbe concludersi soltanto  in primavera. Nell’attesa è meglio restare prudenti. Una scelta in un senso o nell’altro potrebbe essere smentita nel giro di pochi mesi. Non sempre il silenzio è reticenza.

di Cosimo Risi

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