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Quando l’immagine è tutto: tre Presidenti americani al golf (di Cosimo Risi)

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Apri qualsiasi finestra in rete e ti ritrovi le facce dei tre ultimi Presidenti americani in bella vista. In ordine cronologico Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama posano per una serie di selfie, distribuiscono pacche sulle spalle e “cinque”, sorridono divertiti e compiaciuti, si tengono per braccio, chiacchierano, salutano, probabilmente tentano pure un colpo con la mazza da golf.

Tutto questo accade nel New Jersey dove i tre convergono per la Presidential Cup (e come sennò) di golf, sport di cui sono giocatori come qualsiasi gentiluomo che si rispetti in età che non consenta più le attività traumatiche.

L’immagine dei tre Grandi è significativa di per sé. Anzitutto per la simpatia che corre fra loro. Clinton e Bush, il primo democratico e il secondo repubblicano, hanno sempre avuto un rapporto amichevole, nonostante che Clinton avesse sconfitto Bush padre alle elezioni impedendogli il secondo mandato da presidente. Bush figlio ha un buon rapporto pure col successore Obama,  tant’è che quando gli lasciò la Casa Bianca, le rispettive mogli si scambiarono consigli di economia domestica e le figlie scorazzarono assieme nei corridoi della dimora.

Il rapporto personale travalica così la rivalità politica e le diversità di vedute su molte questioni. Si pensi anzitutto alla campagna d’Iraq lanciata da Bush e chiusa (parzialmente) da Obama. Si pensino ai rapporti con l’Iran, con il Medio Oriente, con l’Europa.

L’immagine è anche sostanza. Le foto che li ritraggono insieme appassionatamente stanno a mostrare la continuità della politica americana, che si nutre di principi profondi (il patriottismo, la vita all’aria aperta, la bonomia) e non si attarda nelle piccole recriminazioni e nelle beghe personali.

Non che il mondo americano sia alieno dai contrasti anche feroci. Si pensi solo all’infinita polemica fra Hillary Clinton e Donald Trump, una polemica farcita di insulti personali che colpiscono i rispettivi modi di essere. Resta il rispetto istituzionale che i Presidenti si devono l’un l’altro e che è didascalico nei confronti della popolazione spesso dilaniata da contrasti sociali e razziali. Il fatto che Obama sia nero e gli altri due siano bianchi non rileva affatto. E questo conta nell’equilibrio di un paese che riscopre la questione razziale dopo decenni dalla fine della segregazione.

The American way of life ci fa da modello da quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si profilarono come la potenza vincitrice anche sul piano culturale. Siamo talmente impregnati di americanismo che neppure ce ne accorgiamo. Un trattamento omeopatico cui siamo sottoposti ripetutamente: basta accendere il PC, guardare la TV e il cinema, ascoltare una canzone e siamo immersi nella civiltà americana, la sola che ci pare “up-to-date”, sintonizzata com’è sull’oggi e sul domani.

Con gli esempi benefici come la tecnologia importiamo anche gli esempi malefici come lo junk – food, il cibo spazzatura, che per fortuna attecchisce poco dalle nostre parti. Noi teniamo per la pizza e il vino  e non per il panino gocciolante grassi saturi e le bevande gasate. Dovremmo imparare a importare anche la grazia istituzionale che ci viene dalle foto dei Tre in cappellino e maglietta, visibilmente rilassati e lieti di ritrovarsi.

di Cosimo Risi

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