Cosa succede in Iran alla fine del nostro anno? (di Cosimo Risi)

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La folla si riversa per le strade di Teheran e di altre città d’Iran. Gli studenti sfilano in prima linea e sono in buona compagnia di donne e persone che definiremmo normali. Gli slogan sono quelli tipici delle manifestazioni di piazza in un paese a forte controllo centrale. La protesta contro il caro vita è trasversale, quella per la maggiore libertà è più composta perché tocca il potere politico – religioso. Qualcuno brucia l’effige della Guida Suprema in segno di massima critica che richiede massimo coraggio.

E’ troppo presto per decretare che qualcosa di drammatico si sta sviluppando in Iran, qualcosa che possa portare ad un cambio significativo dei costumi se non alla rottura del regime. Per una volta la reazione via tweet di Trump è tempestiva e coglie nel segno: il messaggio è diretto alla dirigenza iraniana, l’avvertimento a tenere conto della protesta senza abbandonarsi alla logica della repressione perché “il mondo vi guarda”.

Neppure nel regime teocratico iraniano i movimenti popolari possono essere tacitati come se  fossero espressione di un manipolo di esaltati. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa è tale che gli avvenimenti trovano un’eco esterna, sono veduti in tutto il mondo per essere commentati in tutto il mondo.

L’Iran è un grande e misterioso paese. Sembra l’attacco d’un vecchio libro di geografia, eppure è la descrizione che meglio si attaglia alla Repubblica Islamica. Il paese è carico di contraddizioni e, senza rispolverare il vecchio Karl Marx, le contraddizioni finiscono per portare alla svolta qualitativa.

E’ ricco di idrocarburi che ha ripreso a vendere in maniera aperta dopo l’allentamento delle sanzioni. Gli introiti, complice il basso prezzo del petrolio, non sono tali da permettere un welfare adeguato. La popolazione cresce costantemente e la fascia di giovani è estesa quanto insoddisfatta per le scarse prospettive e la durezza dei costumi.

La guida politica del moderato Rouhani è messa in discussione dalla dirigenza religiosa che, nel sistema “anfibio” del paese, è quella dell’ultima parola. La popolazione elegge appunto gli organi elettivi,  ma non la dirigenza religiosa che ha un sistema interno di avanzamento ed è dotata di strutture di sicurezza indipendenti dalle statali. Una sostanziale diarchia governa il paese, con un soggetto della diarchia che prevale quasi sempre sull’altro e che comunque ne condiziona l’operato.

Chi è stato a Teheran ed ha avuto modo di frequentare certi ambienti, sa quanto la borghesia sia emancipata e curiosa del nuovo. Sa che i costumi così morigerati in apparenza sono alquanto liberali nella sostanza.

Si pensi solo all’abbigliamento delle donne, obbligate al velo in pubblico e aduse agli abiti meno castigati al coperto. Fece scalpore la decisione dell’Alta Rappresentante Mogherini di recarsi in missione a Teheran col velo in testa, mentre altre dirigenti politiche donne avevano sfidato il divieto di scoprire la testa.

L’Iran è centrale nelle vicende del Golfo e del Medio Oriente. La innaturale convergenza con Russia e Turchia per stabilizzare la Siria. Le professioni di buona fede nell’applicare l’accordo sul nucleare.

La presa di distanza dal terrorismo di matrice islamico – sunnita. La rivalità con l’Arabia Saudita, custode invece dell’Islàm sunnita oltre che dei luoghi santi di Mecca e Medina. Le accuse che riceve dall’Amministrazione USA di fomentare il terrorismo. Il sostegno alle milizie sciite in Siria e soprattutto in Libano (Hezbollah) che minacciano Israele.

Dovunque si guardi nella vasta area del Medio Oriente e del Golfo, il profilo dell’Iran incombe. Il grande e misterioso paese tenta, con la protesta, di normalizzarsi: di aprirsi allo sguardo del mondo.

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