Shoah, un silenzio che trafigge l’anima (di Tony Ardito)

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“Sento parlare di gite a Auschwitz. Insegnanti che siete qua, non chiamatela mai gita. Quello ad Auschwitz è un pellegrinaggio, da fare in silenzio, possibilmente sentendo un po’ di fame e un po’ di freddo.

Gita è una parola orribile per indicare i campi dove la persone sono morte solo per la colpa di essere nate… A voi, miei nipoti ideali io voglio insegnare la pace, l’amore, la libertà”.

Durante un intervento pregno di pathos, queste le parole con cui Liliana Segre si è rivolta direttamente ai docenti e ai numerosi studenti provenienti da diverse scuole medie, inferiori e superiori, che alcuni giorni fa affollavano il Teatro degli Arcimboldi di Milano, in occasione delle celebrazioni promosse per la “Giornata della Memoria”.

La donna, uno degli ultimi sopravvissuti alla barbarie della Shoah, oggi è una splendida nonna di 87 anni. Da allora, come altri scampati allo sterminio, porta la propria testimonianza di perseguitata dalle leggi razziali e con essa un meraviglioso messaggio di pace. Il 19 gennaio scorso ha ricevuto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la nomina a senatrice a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Una investitura dal valore e dal significato elevati.

Nel 2008, son stato in Polonia, ho visitato il lager di Auschwitz e benché mi ritenessi sufficientemente pronto, anche per gli approfondimenti con cui intesi preparami ad affrontare il viaggio, ho constatato che nessuna immagine, nessun film, nessun racconto, per quanto potente, mi aveva reso l’idea di ciò che è realmente accaduto, come han fatto invece gli interminabili istanti trascorsi in uno scenario surreale ed opprimente, nel quale gli oltraggi alla vita non hanno conosciuto limiti e dove il silenzio perfora i timpani e come “polvere” si insinua nel profondo sino a trafiggere l’anima.

Da allora nutro il convincimento che per quanto possa segnare, sia una esperienza necessaria. Ciascun essere umano consapevole dovrebbe recarsi in uno di quei luoghi, seguire gli ultimi metri di quelle rotaie, varcare quei cancelli ed arrivare al capolinea, indugiare in quelle stanze, ascoltare quell’assenza per poter meditare, toccare con mano e comprendere pienamente la malvagità della quale un proprio simile, in un tempo poi non molto distante, è stato capace.

Qualunque considerazione ne consegua corre il rischio di risultare ridondante e scadere nella retorica ed è il motivo per cui, con rispetto, preferisco affidarla alla sensibilità ed alla ragione di ognuno.

 

Editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista

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