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Associazione Io Salerno: Il Porto – concludiamo il discorso

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(segue da Mercoledì 31/01/2018). Capimmo in giovanissima età che esiste un limite alla pazienza. Non ci fu bisogno di tante spiegazioni. Bastarono le mani della mamma. Allora non esistevano teorie filosofiche sulle modalità di educare i figli.

La pazienza è una sorta di sommatoria tra  resistenza, sopportazione e tolleranza. Che non possono essere infinite. Esiste un limite oltre il quale si attiva inevitabilmente una reazione. Come fu con la mamma.

I fatti ci dimostrano che anche la natura ha una sua pazienza. Esiste, cioè, un limite all’assorbimento degli scempi e delle devastazioni che noi stessi arrechiamo al territorio e all’ambiente in nome del progresso e dello sviluppo economico.

Dopo di che, si salvi chi può! Giacché la natura non si limita a qualche schiaffo. Fa molto più male. Lo sanno bene quelli che, pur senza colpe, hanno dovuto contare i morti.

Non è un mistero, al riguardo, che la nostra Città è compresa nell’elenco delle prime 50 più inquinate d’Italia per le polveri sottili, PM2.5 e PM10, e del biossido di azoto.

Così, mentre grande attenzione è stata rivolta al “mistero misterioso” dei veleni delle Fonderie Pisano, sul quale si attendono risposte, non eguale attenzione è stata riservata ai similari veleni diffusi “ad abundantiam” dal traffico veicolare “grazie” anche alle migliaia e migliaia di tir impegnati nel trasporto dei container da/verso lo scalo commerciale.

Proprio per questo, lo abbiamo definito “fonte di gioia e causa di dolore” per la comunità (cfr. salernonotizie.it – 24/01/2018 e 31/01/2018) . Una struttura con doppia “personalità”, non diversamente dal leggendario Dr. Jakyll e Mr. Hyde.

Questa incontestabile verità ci induce a ritenere che sia giunta “la pienezza del tempo” per risolvere un dilemma ormai storico: o si realizzano infrastrutture idonee ad eliminare il flusso veicolare o si de-localizza lo scalo.

Iniziamo dalla prima ipotesi.

Non c’è porto in Italia, degno di questo nome, per dire: Trieste, Venezia,  Livorno, Napoli, Gioia Tauro, che non disponga di un collegamento ferroviario in grado di trasportare le merci ad un’area retro-portuale, o interporto, in modo veloce ed economico. E la ferrovia, da noi, non c’è. E l’interporto più vicino, collegato con il corridoio 5 “Helsinki-La Valletta” del progetto europeo TEN-T, è quello di Nola/Marcianise. Il successivo è a Gioa Tauro, ma ad esso si arriverà dalla linea adriatica perché sulla tirrenica, a quanto dichiarato dalle Autorità competenti, non sono possibili i necessari lavori di adeguamento per mancanza di fondi.

Intanto, è fallito anche il progetto di un interporto nella piana del Sele dove, su un’area di oltre 40Ha, si voleva realizzare un distripark utile, magari, nella ipotesi di un nuovo porto-isola.

Siamo proprio a zero. O anche sotto zero. A piacere,

In sostanza, noi pensiamo che il nostro porto commerciale non possa avere futuro in assenza di una ferrovia. Ogni altra diversa soluzione sarebbe effimera e antieconomica. Sarà certamente antieconomico il trasporto stradale, quando saranno uniformate le tariffe portuali di Salerno e Napoli,  che la ferrovia ce l’ha, così come sarà antieconomica la gestione dei container distribuiti tra aree inadeguate in giro per il circondario. Tra l’altro, si correrebbe il rischio di vedere la Città e i Comuni limitrofi coinvolti in un turbinio di tir in transito su ogni tipo di autostrada, tangenziale, complanare, o strada statale, provinciale, comunale e, forse, anche interpoderale.

In ogni caso, abbiamo già visto che il viadotto Gatto è assolutamente insufficiente ed è fonte di vive preoccupazioni circa la stabilità dell’impalcato, mai oggetto di verifiche tecniche. E, se si bloccasse, gli autocarri invaderanno la Città come le cavallette.

Abbiamo anche detto che la costruzione delle gallerie del Cernicchiara non offre sufficienti garanzie.

Non tanto per i tempi di completamento, comunque oggi non ipotizzabili a causa delle vicende giudiziarie in corso, ma per la particolarità della loro conformazione.

Chiediamo: qualcuno immagina cosa potrebbe mai accadere se in una delle due canne, ciascuna della lunghezza di oltre 2,4 Km, dovesse fermarsi un tir? O se si verificasse un accidente qualsiasi, tipo incendio di un motore o anche una gomma bucata? Chi salverebbe gli intrappolati? E quale sarebbe il livello di rischio per la pubblica e privata incolumità?

Per tutto questo,  noi pensiamo che lasciare il porto ove oggi è avrebbe senso  solo se si riuscisse a realizzare un raccordo ferroviario che, come sottolineato nel nostro primo intervento, fosse in grado di mettere in rete anche i porti di Castellammare e Napoli e di convogliare i container verso l’unico interporto campano di Nola/Marcianise.

Andiamo alla de-localizzazione

Il progetto di un porto-isola in mezzo al mare, dotato di collegamenti moderni e funzionali, con un distretto di smistamento realizzato nel territorio costiero, è ambizioso e affascinante.

Sennonché, già oltre dieci fa, ci fu  chi valutò la spesa in oltre 12miliardi di euro e previde tempi di realizzazione prossimi ai 10 anni. Se cominciassimo ora, ne parleremmo nel 2030. Con chi ci sarà e se tutto dovesse andare liscio!

E, poi: è credibile che nel nostro paese si possa “mettere sul tavolo” una somma pari ad una “mezza manovra di Bilancio” con lo scalo di Napoli a 50Km di distanza e con gli ingenti investimenti in corso nello scalo “strategico” di Gioia Tauro? Ne dubitiamo.

E’ ben vero che la Città è abituata ad investimenti grandiosi, ma ci sembra onestamente spropositato un impegno così consistente per una comunità “piccola” come la nostra, a meno di una “suprema” decisione dello Stato, magari in sostituzione anche del porto di Napoli, o di qualche operatore estero. Potrebbero essere i cinesi, se non avessero già comprato una buona parte del porto del Pireo, con la Cosco Shipping Co, per farne l’approdo per gigantesche porta-container e scalo di partenza di una nuova linea ferroviaria per il Nord Europa. Gli altri realizzano! Noi neanche discutiamo!

E, poi: i centri costieri saranno d’accordo su una infrastruttura che mette a repentaglio le nuove speranze di sviluppo turistico del litorale? Ne dubitiamo.

Conviene, adesso, tirare le somme. E poiché non è nostra abitudine parlare senza dire, ci sia consentito di esprimere il nostro pensiero.

Noi non crediamo né nella ferrovia, né nel porto-isola. Troppo difficili da fare.

Ma non crediamo neanche nel “tertium non datur”.

Per noi, la soluzione è da individuare nella regolamentazione delle attività dei tre scali attraverso una sinergica attribuzione di competenze da parte dell’Autorità Portuale con l’obiettivo di una netta specializzazione funzionale.

Al nostro porto dovrebbero essere assegnati lavoro commerciale e lavoro turistico entro limiti di sviluppo ben precisi e compatibili con le caratteristiche dello scalo e quelle della Città.

Non si tratta di bloccare la crescita delle attività, perché ai nostri operatori dovrebbero essere attribuite incarichi aggiuntivi negli altri due porti. Si tratta solo di rispettare luoghi e caratteristiche perché, come si diceva una volta, “chi nasce tondo, non può morire quadro”. E il porto è nato “tondo”.

Il nostro scalo è certamente importante, come lo sono le Fonderie, ma la Città non può accettare costrizioni.

E non vorremmo che queste due attività possano fare la fine delle miniere. Sfruttate fino all’esaurimento e, poi, abbandonate a se stesse.

Per questo, riteniamo che la Comunità ne debba parlare. Ora.

Questa comunità va gestita con amore.

Associazione Io Salerno – Officina di Pensiero

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