Una storia di successo in Nord Corea: Kim jong un (di Cosimo Risi)

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Sembrava un personaggio da fumetto, Kim jong un, abbreviato in Kim, il Presidente della Nord Corea, con i suoi abiti strecciati, la capigliatura scolpita da un coiffeur creativo, gli occhialini da intellettuale, il sorriso un po’ così che non sai se di bonomia o malizia o, probabilmente, di ambedue i sentimenti.

Kim ha fatto esplodere alcuni ordigni nucleari sotterranei, malgrado che da tempo questo tipo di esperimenti fosse vietato ad evitare i terremoti, che puntualmente si sono manifestati nell’area prospiciente la sua Corea.

Ha lanciato, non sempre felicemente, alcuni missili destinati a scagliare ordigni nucleari  sui nemici. Alcuni missili sono accreditati di una gittata così lunga da minacciare gli Stati Uniti, di certo da minacciare le basi americane nel Mare di Cina.

Il popolo nordcoreano nel frattempo patisce l’inedia e merita la solidarietà umanitaria, eppure i filmati ufficiali lo mostrano a marciare compatto col passo dell’oca al cospetto del Presidente e del suo entourage.

Per chi ha memoria dell’Unione Sovietica, quelle di Pyongyang sembrano la replica delle parate che si svolgevano sulla Piazza Rossa di Mosca, dove si assiepavano i massimi dirigenti del PCUS. Ed allora i sovietologi, come gli antichi aruspici, vaticinavano dalle loro rispettive posizioni chi era in ascesa e chi in discesa.

Di Pyongyang colpiscono le immagini di un traffico di autovetture vetuste e pulite, ordinato da una vigilessa urbana impettita come il pizzardone di Alberto Sordi a Piazza Venezia. Solo che a Pyongyang, a differenza che a Roma, non un clacson  strombazza né un automobilista maschio ti sporge il dito medio dal finestrino né un’automobilista donna si aggiusta il trucco allo specchietto.  La maleducazione in auto è  sanzionata in Nord Corea.

Ora Kim indossa gli abiti da statista e si reca a Pechino dall’amico e protettore Xi Jinping, il Presidente di Cina, paese le cui merci  il Presidente Trump non vuole più sul mercato americano.  Proprio alla Cina gli USA affidano una missione diplomatica di lignaggio.

Xi è chiamato a disinnescare la bomba nordcoreana: prima che Kim faccia sul serio e la lanci da qualche parte costringendo gli americani a reagire. Kim è ricevuto nella Città Proibita con gli onori che si devono ad un ospite autorevole. Le Signore si stringono la mano, i Presidenti brindano all’amicizia fra i due paesi.

I sorrisi si sprecano, accompagnati presumibilmente dalla promessa di Kim di non fare sul serio con la minaccia nucleare e dall’impegno di Xi di sostenere le rivendicazioni nordcoreane a cospetto del mondo. In agenda, dopo Pechino, Kim ha appuntamenti col Primo Ministro del Giappone, col Primo Ministro di Sud Corea, infine col Presidente USA.

Un crescendo protocollare che lo porterà dall’essere il reietto della comunità internazionale a protagonista della scena.  In fondo sono bastati un esperimento nucleare ed il lancio d’un missile per fare guadagnare al paese il riconoscimento tanto atteso.

Il riconoscimento soprattutto che non si brigherà per rovesciare il regime: il “regime change” temuto dai dittatori  dopo quanto accadde a Saddam Hussein in Iraq ed a Qaddafi in Libia.

Se la diplomazia delle strette di mano aiuta a risolvere le divergenze senza che scoppino i conflitti, non possiamo che augurare successo ai viaggi di Kim e guardare con fiducia alla mediazione della Cina. Pechino il suo vantaggio certamente l’avrà: se non altro mostrerà agli americani di America First che la bilancia commerciale non esaurisce i rapporti fra gli stati.

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