I riders perdono la battaglia contro Foodora, ma non si arrendono (di Tony Ardito)

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Sono ragazzi costantemente monitorati mediante telefonino da una centrale operativa; si fanno largo tra le auto a colpi di pedale, in sella a una bicicletta; lavorano anche con condizioni metereologi avverse e per una manciata di euro.

In base al pronunciamento del Tribunale di Torino, ciò non è sufficiente a fare dei riders di Foodora – coloro che consegnano piatti pronti a domicilio – lavoratori dipendenti.

Il loro caso era arrivato al Palazzo di Giustizia dopo che sei fattorini del capoluogo piemontese non erano più stati inseriti nei turni delle consegne perché, nel 2016, si resero promotori di uno sciopero per protestare contro le loro condizioni di lavoro. La scorsa settimana la sentenza ha dato ragione alla multinazionale.

Secondo il giudice, i ragazzi con baule e caschetto fucsia, utilizzati dalla azienda tedesca, non possono considerare questa attività un vero e proprio lavoro e quindi non hanno titolo per chiedere paghe più adeguate e tutele in caso di malattia e infortuni. I riders sono lavoratori autonomi, liberi di decidere se e quando dare la propria disponibilità, senza obblighi minimi di presenza al lavoro.

La loro è dunque da ritenersi una prestazione occasionale; in parole povere, un lavoretto. Anche se il servizio è sempre più richiesto; basti pensare che gli italiani che ordinano regolarmente cibo pronto online, superano i 4 milioni.

L’avvocato Sergio Bonetto, del collegio difensivo dei riders, ad esito della sentenza ha dichiarato: “Evidentemente questo sistema di lavoro è stato ritenuto legittimo, temo che si espanderà” e annuncia il ricorso in appello. Mentre secondo le organizzazioni sindacali, a prescindere, la sentenza impone una seria riflessione sulle condizioni di migliaia di lavoratori precari.

Sono questi gli effetti prodotti dalla disintermediazione. Come per Uber, pure Foodorra stravolge lo schema tradizionale, in cui tra il cliente e il servizio richiesto si pone un soggetto intermedio il quale, dietro compenso, lo esegue. In casi del genere, l’intermediario è rappresentato da una semplice app, agevolmente accessibile da qualunque smartphone.

A fronte di tali e tante novità e delle accelerazioni impresse dalla rivoluzione determinata dall’uso del web, si rende ancor più necessaria una rivisitazione ed un adeguamento dell’impianto normativo, segnatamente in materia ed a salvaguardia del lavoro e dei lavoratori.

A cura di Tony Ardito

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