L’intreccio siriano fra potenze regionali e potenze globali (di Cosimo Risi)

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I fatti sono talmente risaputi da avere l’impressione di rivedere lo stesso film a distanza di cinque anni. Nel 2013 il Presidente Obama minacciò il regime siriano di punizione se avesse varcato la linea rossa dell’uso di armi chimiche. Si aprì la vertenza sulla natura delle armi  e, se chimiche, sulle responsabilità.

La linea rossa non fu varcata solo perché la Russia garantì che avrebbe ritirato e distrutto le eventuali armi chimiche presenti in Siria. Anche l’Italia fu sfiorata dalla crisi perché si scrisse che parte dell’arsenale sarebbe transitato nei nostri porti. Poi calò il silenzio.

Nel 2018 il copione si replica. Le armi chimiche sono adoperate per debellare le sacche di resistenza al regime di Assad. Si tratta davvero di armi chimiche e da chi manovrate? Stati Uniti, Regno Unito e Francia non hanno dubbi: le armi chimiche sono opera del regime di Assad.

Questo va sanzionato senza però confrontarsi direttamente coi russi, presenti in forze in Siria. La Russia è il puntello internazionale del regime e non intende recedere dalla posizione che tiene nel Mediterraneo. Lo sbocco al nostro mare è una costante della sua strategia.

Il colpo scatenato dalle tre potenze occidentali è diretto contro alcuni bersagli sensibili, evitando accuratamente le postazioni governate dai russi. La linea di de-conflitto, come viene chiamato quello che una volta era il telefono rosso Washington – Mosca, funziona, i russi hanno così avuto modo di sgomberare.

Certo, minacciano conseguenze, al pari degli iraniani, ma senza specificare quali. L’attenzione degli osservatori è ora volta alle conseguenze. Saranno di natura politico – verbale? E’ quanto ipotizza Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa.

Nell’intervista a Huffington Post, Camporini sottolinea che il colpo è stato isolato e tale è destinato a restare, che ha finalità interne ai paesi occidentali, che  non implica la revisione della strategia di Trump: quella di liberarsi del fardello siriano ritirando le residue truppe che ha sul terreno. Il che – conclude Camporini – lascia la patata bollente a Israele, che dovrà vedersela da vicino non tanto coi russi, coi quali un qualche dialogo è sempre possibile, quanto cogli iraniani.

L’espansione di Teheran in Medio Oriente è un dato che inquieta certamente Israele ma anche le cosiddette petromonarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa. Qualche commentatore nota che la risposta francese all’appello americano viene a seguito della missione a Parigi del Principe ereditario saudita.

In questo esercizio di alta diplomazia a perdere sono sempre e solo due soggetti: la popolazione siriana, di cui è facile prevedere una nuova fuga verso l’Europa;  la politica di sicurezza e difesa dell’Unione europea. Ancora una volta  – si pensi al precedente della Libia – le maggiori potenze europee si muovono fianco a fianco senza attendere, e forse neppure tentare, la concertazione in sede europea. La concertazione sarebbe peraltro resa difficile dalle posizioni di Germania e Italia. La Germania manifesta solidarietà ma non intende ingaggiarsi in azioni militari. L’Italia è nello stallo post-elettorale.

Cosimo Risi

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