La politica non c’entra (di Angelo Giubileo)

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La crisi in corso in Italia è crisi di governo, e quindi istituzionale. La politica, nel senso originario del termine, non c’entra nulla. E infatti, non a caso Platone distingue tra ciò che per lui la “politica” rappresenta e invece il ruolo e la funzione, essenziali di governo, del “politico”. A tanto, non posso qui che rimandarvi per ogni utile approfondimento. Insegnavano inoltre a scuola che la durata del ciclo economico si distingue in base a un periodo di breve/medio/lungo termine, rispettivamente e in genere semplificando, pari a circa 3-5/10-15/30-50 anni.

Oltre la lettura (strutturale) economico(ieri)-finanziaria(oggi), per un’ampia durata del secolo scorso è valsa anche una lettura (sovrastrutturale) politico-ideologica degli eventi nell’ambito dell’intero scacchiere internazionale: da una parte la Nato dall’altra il Patto di Varsavia, con relativi Paesi annessi e connessi. Una politica senz’altro divisiva, perché tale è la natura della “politica”, a leggere i classici e non solo Platone.

Chiusa questa parentesi, la crisi economico-finanziaria manifestatasi sui mercati, internazionali a partire dal 2007 negli Usa, ha generato inevitabilmente anche una crisi dei sistemi di forza o potere e quindi dei governi istituzionali; a cui la “politica” non ha saputo porre rimedio.

E questo, perché – come è stato detto a proposito delle banche statunitensi, too big to fail – il sistema economico-finanziario degli Stati e delle Comunità internazionali è stato ed è troppo grande sia per fallire sia per essere dominato dalla “politica”. L’odierna crisi di governo in Italia è un evidente e perfino classico e quindi ripetuto esempio di ciò.

Il nostro Capo dello Stato sa bene tutto questo e pertanto, nello stallo divisivo della “politica”, sarà lui stesso a fare la prima mossa, di affidare un preincarico o incarico per la formazione del nuovo governo, a un “politico” o a un “rappresentante istituzionale”, ma in ogni caso per la formazione di un nuovo organismo istituzionale in potenza capace di gestire il sistema delle forze o di potere in atto.

Un’altra breve e modestissima riflessione riguarda quindi l’assetto di tale sistema. Che diciamo “democratico” e “rappresentativo”, basato cioè sul consenso manifestato dagli elettori che hanno esercitato il proprio diritto e mandato di rappresentanza attraverso il voto dello scorso 4 marzo. In definitiva, si tratta di un consenso che si tramuta in numeri e, per la democrazia, i numeri sono essenziali.

A conti fatti, occorre quindi costruire una maggioranza di governo. Quanto al resto, giunti anche al punto in cui siamo, sembra si tratti soltanto di chiacchiere e distintivo.

Angelo Giubileo

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