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Kim e Moon e la passeggiata mano nella mano (di Cosimo Risi)

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Lo stupore è la prima reazione che provi a guardare certe scene che le TV di tutto il mondo replicano ossessivamente. Moon è il Presidente sudcoreano con occhiali, giacca e cravatta che aspetta, dalla sua parte di confine, il Presidente nordcoreano, Kim occhiali anche lui e  abito vetero – cinese.

Moon sorride apertamente e tende la mano, l’altro sorride meno e tende la mano. Le mani si stringono e restano serrate, nella tarda riproduzione del gesto di Kohl e Mitterrand a Verdun, mentre i due attraversano il confine una volta di qua e una volta di là. Il senso profondo è che il confine è valicabile, le due Coree per ora si parlano, un domani si uniranno come nella torta propiziatoria che i due tagliano da sposini al matrimonio.

La regia è accurata e verrebbe da commentare “chapeau”. L’insieme raccoglie anche le Signore. Le Signore posano accanto ai Signori e con loro scambiano i brindisi. I fanciulli porgono il mazzo di fiori, i militari suonano la fanfara e sventolano le bandiere. Lo stupore raggiunge l’apice a leggere il tweet di Trump, che si congratula per l’incontro e fissa a maggio l’appuntamento dello stesso Trump con Kim. Qualche commentatore maliziosamente ricorda che mesi fa i due si scambiavano promesse di ben altro tenore.

Si sfidavano a chi ce l’aveva più grosso: il bottone da pigiare per scatenare l’attacco nucleare. Un’esaltazione “machista” che spaventava il mondo mentre rassicurava i rispettivi concittadini che i Presidenti facevano sul serio nel sostenere le loro posizioni. Si lessero commenti sul ritorno della guerra fredda, ritorno già avvenuto in Europa grazie al contrasto USA – Russia, che sarebbe divenuta calda appena uno dei due avesse pigiato il fatale bottone.

La diplomazia sotterranea del già Segretario di Stato americano, che anche per questo è stato allontanato dallo State Department, era ritenuta succube del dittatore nordcoreano, come capita ogniqualvolta un diplomatico si mette di buona lena a stemperare i toni e capire le ragioni profonde dell’altro.

Ora gli stessi commentatori che paventavano sfracelli innalzano lodi alla tattica della fermezza esibita da Trump. Qualcuno lo vorrebbe Premio Nobel per la pace, con l’argomento che Obama meritò il riconoscimento per il discorso all’Università Al – Azhar del Cairo. Se basta un discorso di buone intenzioni irrealizzate, perché non dovrebbe bastare la fine di una minaccia alla pace? Staremo a vedere o, come usa in diplomazia, wait and see.

I due dirigenti coreani dichiarano di lavorare per un accordo di pace che, a termine, dovrebbe portare alla unificazione. Il richiamo d’obbligo va al precedente dell’unificazione tedesca. La situazione sul finire degli Ottanta del XX secolo era diversa dall’attuale, diversi erano i protagonisti, soprattutto il regista di quella manovra, il Presidente sovietico Gorbaciov. Nei panni del novello Gorbaciov alcuni vedono il Presidente cinese Xi. Egli sarebbe il regista  dell’avvicinamento fra le due Coree.

Proteso a normalizzare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti dopo l’ondata di restrizioni decisa da Trump, vorrebbe accreditarsi come leader responsabile e tenere a freno l’alleato Kim. Una guerra calda, unita alla guerra commerciale in atto, non aiuterebbe lo sforzo cinese di egemonizzare pacificamente il Sud – est asiatico. Una Corea normalizzata ed in via di unificazione aprirebbe nuove vie all’influenza cinese.

Mentre i coreani si stringono la mano, il Presidente Xi stringe quelle del Primo Ministro indiano Modi. L’altro fronte caldo per la Cina, il confine con l’India che passa per le grandi montagne, va  raffreddato. L’Asia va divisa in partes tres, come la Gallia di Giulio Cesare: la parte cinese, la parte indiana, la parte giapponese (e occidentale). Stiamo semplificando ma non troppo.

di Cosimo Risi

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