Cancro nelle fabbriche, Samsung china il capo e chiede scusa (di Tony Ardito)

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“Onestamente le scuse non sono sufficienti per le famiglie delle vittime, ma le accettiamo. Non c’è alcun modo per ripagarci dei torti subiti, del dolore e della sofferenza per la perdita un proprio caro, troppe persone hanno subito lo stesso destino”.

Queste le parole pronunciate, con emozione, da Hwang Sang-gi, il rappresentante dei familiari dei lavoratori dell’azienda coreana, vittime di gravi patologie contratte sul luogo di lavoro, dopo che il copresidente di Samsung, Kinam Kim, nel corso di una conferenza stampa, ha ammesso che la società non è riuscita a “gestire in modo adeguato le minacce per la salute”.

Lo scandalo emerse a Seul più di 10 anni fa. Ben 320 persone ammalate, delle quali 118 sono morte con inevitabili sofferenze e gravi conseguenze familiari. Samsung, pochi giorni fa, non solo simbolicamente, ha chinato il capo e chiesto scusa per la malattia e il decesso di alcuni lavoratori impiegati nella divisione Electronics: il più grande produttore di chip e display Lcd al mondo, in cui vengono usate grandi quantità di sostanze chimiche.

Fu proprio il tenace Hwang a sollevare il caso rifiutando una proposta di accordo, dopo che la figlia di soli 23 anni, ex dipendente presso una fabbrica di Samsung, perse la vita per leucemia. Così, altri ex operai degli opifici di Suwon, a sud di Seoul, e le loro famiglie cominciarono a denunciare una serie di forme di cancro legate alle condizioni di lavoro.

Si costituì un comitato per porre impresa e governo difronte alle proprie responsabilità in merito alla sicurezza nelle fabbriche di chip e display. In seguito si aggiunse l’intervenuto dell’Agenzia statale per il benessere del lavoro, nonché una accurata inchiesta del Washington Post. Tutto ciò, dopo una diatriba durata oltre un decennio, ha favorito l’intesa con i vertici di Samsung, per un risarcimento (circa 120mila euro a ciascun dipendente o familiare) e le scuse ufficiali rappresentavano un punto imprescindibile.

Quanto accaduto in Corea del Sud è una storia amara, vissuta e rivissuta in molti dove, anche nella nostra evolutissima Europa e in Italia. Nonostante gli indiscutibili passi in avanti compiuti, ad esempio pure per ciò che riguarda il “Made in Italy”, permangono zone d’ombra su cui accendere i riflettori.

Non è solo una questione di salute, di sicurezza sul posto di lavoro o di battaglie a colpi di sentenze, ma di autentica civiltà. E la civiltà va ben oltre la ortodossia delle regole vigenti nel proprio Paese.

La immancabile retorica dei soloni del giorno dopo, con tutto il rispetto, non può consolare e bastare più a nessuno.

di Tony Ardito

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