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Anche il caffè è a rischio estinzione (di Tony Ardito)

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Stiamo assistendo ad un tale stravolgimento climatico che, oltre a minacciare tutto il resto, pone a serio rischio persino la disponibilità del caffè.

La colpa è della siccità, dell’aumento delle temperature e dei parassiti sempre più resistenti che hanno preso il sopravvento e attaccano le bacche di caffè, in particolare quelle di Arabica. Secondo il rapporto dell’International Center for Tropical Agriculture, circa la metà della terra coltivata a caffè non sarà più utilizzabile nel giro di circa 30 anni.

Ed allora, c’è già chi si sta industriando per proporre una possibile alternativa. Lo scienziato, Jarret Stopforth, e Andy Kleisch, manager della start up “Atomo”, hanno approfondito gli studi di tutte le ricerche effettuate sulla chimica del caffè e sui composti che lo rendono unico, riscontrando che in un chicco tostato sono presenti più di 1.000 elementi, 40 dei quali assolutamente critici per replicarne il gusto. Tutti questi composti possono essere trovati in altri ingredienti naturali, a base vegetale. Ricreare il sapore del caffè è, quindi, diventato possibile.

L’idea di Atomo, che forse non risulterà particolarmente gradita ai puristi, è quella di approfittarne ed eliminare la componente acida che dà alla bevanda quella forte nota amara, così da crearne una versione che può fare ameno dello zucchero.

Chimica, creatività, ricerca: il caffè senza caffè elaborato dalla start up ha richiesto ulteriori studi per capire quali altri ingredienti di origine naturale potessero essere utilizzati per replicare la consistenza e la sensazione tipica del caffè in bocca.

La buccia dei semi di girasole e i semi dell’anguria sono gli elementi in grado di riprodurre finanche il classico colore marrone-nero. Il fine è quello di ottenere un prodotto quanto più fedele all’originale, limitando al minimo le alchimie da laboratorio.

Il caffè alternativo ottenuto da Atomo è stato già messo alla prova d’assaggio al campus dell’Università di Washington. Il 70% degli studenti ha preferito il “caffè” di Atomo a quello di Starbucks e fin qui tutto ok. Ora però, la domanda nasce spontanea: quali riscontri registrerebbe la medesima sperimentazione se portata in Italia, ad esempio, a Napoli, presso l’Università Federico II? Lì sì che sarebbe davvero interessante testare il prodotto

Sarà pure pleonastico lumeggiarlo: dalle nostre parti il caffè non è solo una gradevolissima bevanda da sorbire, ma assume dignità di cifra identitaria. Risulta assai difficile pensare che un giorno lo si possa sostituire con un surrogato, benché assolutamente equivalente.

Per noi, o’ cafe è e resta una cosa seria.

Tony Ardito

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