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La sentenza di una vita (di Angelo Giubileo)

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In Italia, anche a seguito dell’inerzia dei parlamentari perdurata per oltre un decennio, la Corte Costituzionale ha fissato da ieri il principio della non punibilità di chi agevola il suicidio di persone vittime di una condizione straziante quale quella capitata a Dj Fabo, diventato cieco e tetraplegico a seguito di un incidente stradale ma consapevole di porre fine volontariamente a una vita inutile piena di sofferenze.

La storica sentenza fissa il principio nell’ambito del rispetto delle condizioni di cui alla legge vigente – e in particolare a quanto stabilito dagli articoli 1 e 2 delle medesima legge, la n. 219/2017 -, subordinando la decisione legittima del fine vita alla sussistenza di una condizione patologica irreversibile e una sofferenza ritenuta dal paziente intollerabile. Inoltre, la decisione deve compiersi nell’ambito di una struttura del Servizio Sanitario Nazionale sentito il parere del comitato etico territoriale.

Il principio fissato dalla Corte Costituzionale pone in parte fine a una questione, quella del “fine vita”, che dura da oltre quindici anni, almeno a partire dalla tragica vicenda che ha colpito Piergiorgio Welby, e tanti altri ancor prima che dopo. In parte, perché occorre anche ora un intervento legislativo che disciplini i “vuoti normativi” presenti in materia da ben oltre una generazione.

Tuttavia è evidente a tutti che il principio è stato fissato e pertanto è da ritenersi pienamente legittimo almeno per uno spazio minimo che temporalmente è inteso di solito come lo spazio minimo di una generazione, alla quale io stesso rivendico fieramente di appartenere e che in tal caso ha lottato e vinto un’aspra contesa in nome del primo e assoluto diritto fondamentale alla libertà che è proprio di ogni individuo.

Angelo Giubileo

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