Perché una cattedra intitolata a Remo Bodei nel Cilento… (di P.Persico)

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Tra le tante altre aree di interesse, Remo Bodei si è occupato anche delle passioni: passioni calde come l’ira, bollente, furiosa, rossa. E passioni tristi come l’odio, gelido e calcolato, alimentato e accudito costantemente. L’odio fa parte di quelle «passioni tristi» di cui parla Spinoza, il grande filosofo olandese del ‘600, le quali, insieme all’invidia e all’avarizia, deprimono la nostra voglia di vivere.

L’odio è una passione individuale pronta a trasformarsi in sentimento collettivo, addirittura in collante sociale nel momento in cui viene a coinvolgere varie persone e gruppi. Si tratta di un fenomeno ben noto e sul quale hanno giocato nei secoli ogni sorta di trascinatori di masse, proprio perché è molto più facile tenere insieme la gente «contro» qualcuno o qualcosa che a suo favore; l’odio rinsalda i sentimenti di solidarietà e appartenenza, trasformando «noi» nei buoni e «loro» nei cattivi.

Contro di loro viene sviluppato l’odio nei confronti dell’altro che unisce e motiva, muove e stimola i noi. Non permettiamo che l’odio prevalga, quell’odio che in tanti casi ha portato al dominio cui è dedicato,  l’ultimo libro di Bodei.

Dominio degli uomini su altri uomini; degli uomini sugli animali; dei maschi sulle femmine; degli uomini sulle macchine e, nel gran finale aperto, di noi sui robot o dei robot su di noi. Il dominio di alcuni e la sottomissione di altri è il filo rosso, il motivo conduttore – ma di motivi ce ne sono tanti altri – del grandioso affresco tracciato da Remo Bodei nel libro a più piani: Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, intelligenza artificiale, Bologna, il Mulino, 2019.

Ma oltre a queste motivazioni ricordate da Francesca Rigotti nella recensione del citato libro, c’è stata la  lezione di Remo Bodei  dedicata al libro opera di Ugo Marano , la Certosa Esplosa , indagine visionaria sul potenziale del  Territorio del Parco Nazionale del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni , che con generosità Salerno Notizie accoglie come augurio che i temi riconosciuti da Remo Bodei, possano vivere e diffondersi non solo nella Città del Parco ma anche in altre città del Mondo: ecco le motivazioni del perché una cattedra intitolata alla persona  ed al pensiero di Remo Bodei.

“Siamo ospiti della vita. Nasciamo senza volerlo in un determinato tempo e luogo e, senza volerlo, il nostro corpo svolge i suoi mirabili e spontanei processi: il sangue circola, le ghiandole secernono ormoni, i capelli e le unghie crescono e, nel combattere le infezioni, milioni di globuli bianchi si sacrificano per noi. Tutto questo avviene in maniera indipendente dalla nostra volontà e dalla nostra coscienza, così come involontaria è stata la nascita di ciascuno di noi.

In parte non voluto è anche qualcosa di cui abbiamo oscuramente coscienza, quali i prodotti dell’immaginazione e del sogno, dove mettiamo in scena spontaneamente delle storie di cui siamo per lo più al centro, ma in cui si agitano figure, voci, suoni che sappiamo provenire dall’ambiente familiare e sociale, dai vivi e dai morti o da esseri superiori e mostruosi.

Siamo, appunto, “ospiti della vita” perché inseriti in processi naturali, spontanei, che ci fanno sentire la nostra dipendenza dal corpo e dai suoi mirabili automatismi. Abbiamo guardato per lungo tempo ai piani nobili della nostra esistenza piuttosto che ai sotterranei della materia e dei suoi automatismi.

Dobbiamo ricominciare a sentire lo stupore davanti ad essi, rimettere al centro della nostra attenzione l’idea della della natura come qualcosa che si genera da sé e dell’uomo come essere incastonato nella natura, dentro il mondo, all’interno di una realtà fisica (e, per certi aspetti, anche spirituale) che si muove secondo i propri principi.

Il fatto che dipendiamo da potenze inconsce o più grandi di noi che operano senza il nostro consenso e che segnano in parte il nostro destino non significa affatto che siamo in loro completo possesso o che dobbiamo passivamente consegnarci a esse. Al contrario, tutta la storia umana ha rappresentato il tentativo di emanciparci dal loro dominio, di prendere in mano, per quanto possibile, le redini della propria sorte.

La scienza, la filosofia e l’arte sono protagoniste in quest’opera di emancipazione dal dominio delle potenze naturali e sociali che pure le condizionano, della creazione di saperi e sistemi morali. La nostra civiltà – ma questa è anche la sua grandezza – ha coltivato soprattutto la coscienza e l’intelligenza.

Eppure, proprio per questo, senza cessare di determinarci, la percezione di tale nostra dipendenza dalla natura è oggi diminuita a tal punto che l’abbiamo quasi dimenticata (o ce ne accorgiamo soltanto nei momenti di emergenza, quando imperversano epidemie, cataclismi o fame).

Non senza un certo sforzo, dobbiamo riscoprire oggi la meraviglia per questa natura che, nel bene e nel male, nel piacere e nel dolore, si guida da sé, priva di coscienza, ma artefice dei suoi processi medesimi.

Dobbiamo vedere come la vita, i corpi nello spazio e nel tempo, dal nostro organismo a quello di un batterio o di un filo d’erba, si riproducono e si mantengono attraverso complessi ed elaborati sistemi di autoregolamentazione con l’ambiente interno ed esterno.

Anche il nostro ambiente rischia oggi di essere ferito, inquinato, reso brutto e reso, spesso, quasi invivibile. Il paesaggio, frutto degli sforzi e dell’intelligenza congiunta di generazioni, dovrebbe rappresentare il rapporto armonico di una natura lavorata ed elaborata dagli uomini, umanizzata. Questa armonia si è, in molte parti spezzata, per mancanza di cultura, per ignavia, per speculazione edilizia. La bellezza finisce per essere considerata un lusso, il silenzio, la meditazione, la ricerca del senso della vita una inutile perdita di tempo.

L’esistenza dei singoli e delle società ha assunto un ritmo accelerato, si ammazza il tempo e il presente è diventato spesso centrale: il passato si dimentica e non ci si pre- occupa del futuro. Si preferisce cogliere al volo, in modo predatorio, l’occasione che non potrebbe presentarsi mai più. Si assiste, soprattutto, a una desertificazione o a una privatizzazione del futuro, nel senso che ciascuno si ritaglia una propria fetta personale di cielo e ignora progetti collettivi. Si proclama non solo la morte, ma la pericolosità delle utopie, asserendo che il meglio è nemico del bene e che i grandi progetti hanno generato mostri.

Il volume di Ugo Marano, Certosa esplosa, rappresenta un salutare e felice antidoto a queste tendenze degenerative della società e degli individui singoli. È una protesta contro la rassegnazione di chi si appiattisce sul presente, per- ché ripropone la progettualità e l’utopia, non in termini magniloquenti, ma immaginando nel suo Cilento (una zona rimasta quasi miracolosamente illesa da molte brutture) costruzioni e ambienti naturali in grado di ristabilire una nuova armonia con la natura.

La sua è anzi una precisa pedagogia – fatta di immagini essenziali, in cui la voluta semplicità è un punto di ritorno e non di partenza – perché si rivolge, per ogni paese e luogo della zona, anche ai giovani, agli studenti, oltre che agli abitanti e ai maestri. Invita tutti a frequentare molteplici “case” e “fabbriche di pensiero”, a fermarsi, appunto a riflettere, a “sperimentare il quotidiano, il divino”, a sentirsi di nuovo non i padroni, ma gli ospiti della natura. Nelle terre che appartennero alla Magna Grecia ancora rinasce il bisogno di creare architetture e ambienti che siano insieme di bellezza e di pensiero, raffigurati simbolicamente dalla “casa del poeta”, dalla Casa di Pitagora (che contiene una “stanza del silenzio”) o dalla “Casa del Filosofo”.

Si sente l’amore per la Terra e la presenza di un impegno civile che non si manifesta soltanto in forma di attivismo politico, ma che impegna la fantasia e la ragione, che addita come auspicabili e possibili forme di vita migliore. Gli auguro che i semi da lui gettati nella mente e nel cuore delle persone portino dei frutti. Per il bene di tutti noi.”

Remo Bodei

di Pasquale Persico

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