Il “nulla” e le riforme su “misura” (di Giuseppe Fauceglia)

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La riduzione del numero dei parlamentari, annunciata come una riforma epocale e rivoluzionaria da chi aveva promesso di “aprire le istituzioni come una scatola di tonno”, approvata da una legge costituzionale votata, per codardia o per scarsa consapevolezza, da tutte le formazioni politiche, si è trasformata, nel corso di questa settimana, in una vera e propria “cena delle beffe”.

E’ stato, infatti, raggiunto il quorum di senatori sufficiente a consentire il referendum confermativo sulla legge appena approvata, e a questa proposta hanno aderito, con non celato entusiasmo, un certo numero di senatori appartenenti a quello stesso partito (ovvero il PD) che l’ aveva appena votata.

Così quella che, con grande rullio di tamburi mediatici e squillar di trombe, era stata annunciata come l’inizio di una rivoluzione, da dare in pasto allo sterminato ed informe popolo della rete, si è rilevata l’ennesimo gioco di palazzo, in cui l’istinto di autoconservazione ha prevalso sui proclami di qualche giorno prima.

Personalmente, non ho mai creduto che la riduzione del numero dei senatori a 200 e quello dei deputati a 400 potesse rappresentare la panacea per le disastrate finanze del Paese, tanto che il  risparmio dei costi non può giustificare la ferita che, in uno ad altre riforme proposte dai nostri rivoluzionari alla matriciana (come il c.d. vincolo di mandato), si tenta di infliggere alle istituzioni parlamentari. Se mai, e a tutto concedere, può ritenersi che la riduzione dei parlamentari acquista un mero valore “pedagogico”.

In realtà, questo Paese vive una stagione che conosce il più assoluto vuoto di intelligenze, in cui scelte importanti vengono solitamente affidate  (più che nel passato, anche questo non proprio “glorioso”) a  soggetti affetti non già dall’inguaribile malattia di un’ansia innovatrice, ma da una pervicace resistenza conservatrice (alla poltrona), anche quando nelle piazze cantano “Bella ciao” .

In realtà, la resistenza alla riforma si completa con il contestuale tentativo di varare (ormai) una sesta riforma elettorale, dopo il Porcellum, l’Italicum, il Rosatellum, il Tatarellum e il Mattarellum (e già la denominazione delle passate riforme inducono ad una certa ironia, almeno linguistica), posto che, di conseguenza, la riduzione di senatori e deputati non potrà avere immediata attuazione, con evidente beneficio  dei 345 parlamentari, che temono di rimanere “orfani” del loro scranno.

In questo gruppo di “responsabili” (assai composito per provenienza) si trova di tutto, ognuno spinto dalla speranza di pescare un jackpot nell’immediata tornata elettorale con regole nuove, che risultano ispirate dalla dichiarata esigenza di non far  prevalere nelle urne la Lega salviniana utilizzando l’impianto della vigente legge elettorale (e già questo, mi pare, essere un principio non troppo nobile e disinteressato per varare una riforma).

In questo modo, però, a tutto beneficio di un elettorato distratto e rancoroso, si mostra impossibile perseguire un sia pur labile processo di riforma, che aggiunge, se mai, instabilità alla gracilità ed imprevedibilità del nostro impianto costituzionale.

La debolezza culturale, intellettuale e programmatica che colora l’operato di nuovi politici, ansiosi di dimostrarsi sempre più puri e duri di quelli del passato (anche recente), finisce per produrre risultati dannosi. Proprio per questo, ho sempre ritenuto di difendere l’originario impianto della Costituzione, nata dal dialogo tra diverse e, a volte, opposte culture politiche interpretate da “giganti”, piuttosto che affidarsi all’attuale improbabile indistinto magma che  ci circonda.

Giuseppe Fauceglia

 

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