Chagall, il giallo e il grigio… fumo (di Vincenzo Capuano)

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È piacevole passeggiare lungo la Promenade des Anglais di Nizza, ammirare la lunga spiaggia, l’Hotel Moresco, spingersi nella città Vecchia e fermarsi a Piazza Messena a bere un caffè… e riprendere a camminare lungo Avenue Jean Mèdecin e magari fermarsi a visitare il Museo Matisse. Respiro profondamente, inalo l’atmosfera del viaggio che mi penetra nei polmoni, poi nel sangue, mi entusiasma. Mi invita a pensare, a progettare.

Nell’ Avenue Dr Ménardnel, nel quartiere di Cimiez c’è il Museo Nazionale Marc Chagall, nato dalla volontà dell’artista di riunire in un unico luogo il suo più importante lavoro: le 17 tele che compongono il Messaggio Biblico.

Marc Chagall nacque a Vitebsk, in Bielorussia e morì a Saint Paul de Vence. Ha vissuto, quasi cento anni (1887-1985), tra Stati Uniti, Europa e Palestina. Fu affascinato dai temi biblici tanto da farne un importante punto di riferimento artistico.

Sto visitando il museo. Le tele sono tutte caratterizzate da grandi dimensioni e decise macchie di colore, che frammentano il quadro in più aree, su ognuna delle quali sono rappresentate le immagini che tendono a confondersi con il colore di base.

Il suo mondo pittorico ricorda la fantasia infantile che si è nutrita della potenza trasfigurante delle fiabe russe. È una pittura simbolista che racconta un mondo sovrannaturale, popolato di atmosfere spirituali, collocato tra uomini creature celesti.

Sono difronte alla tela che racconta di Abramo che sta per sacrificare suo figlio, Isacco. Azzurro è il cielo e anche l’angelo di Dio, Rosso è Abramo, Giallo Isacco.  Davanti al quadro ricordo il racconto che non mi è mai piaciuto, fin da bambino.

A leggere il significato della parabola si sono sprecati fiumi di parole dal senso più o meno chiaro. Dio che mette alla prova Abramo, Abramo che sta per obbedire nonostante il profondo amore per il figlio, Isacco con lo sguardo sereno per la fiducia in suo padre e alla fine tutti felici e contenti, a morire è solo un agnello.

Ho sempre letto la storia mettendomi dalla parte dell’agnello sacrificato, tra l’indifferenza degli uomini.  Mi sono immedesimato nel montone (padre dell’agnello) che probabilmente assisteva all’evento.

Certo il dolore degli altri è diverso dal nostro, figuriamoci il dolore degli animali… Il sacrifico delle bestie come sacrifico a Dio, è concettualmente una vera barbarie. Considerare la morte, anche se di un animale, un rito religioso non l’ho mai compreso e mi piacerebbe che le storie fossero raccontate ai bambini in modo diverso, con contenuti diversi.

Tra i colori il giallo è quello che preferisco e per questo mi attira la tela in cui Dio consegna la tavola dei dieci comandamenti a Mosè; al suo centro domina un’immensa macchia gialla che, penso, rappresenti il monte Sinai.

Mentre mentalmente verifico se ricordo tutti i comandamenti, ripartono nuove riflessioni, il nono e decimo comandamento: non desiderare la donna d’altri, non desiderare la roba d’altri. Ma il desiderio non nasce spontaneo? Non può essere regolato dalla ragione, è un gioco irrazionale di ormoni, passioni, vissuti, emozioni, non puoi scegliere se provarlo o meno. Controllabili sono le azioni successive al desiderio.

Il verbo “desiderare”, non è quello giusto, andrebbe sostituito. Con cosa? Mi riprometto di andare a cercare il testo originale (in aramaico, ebraico?) e di capire in che altro modo possa essere tradotto. Lascio le riflessioni e continuo ad ammirare le tele, infine esco dal museo e mi dirigo, a passo lento, verso il centro della città. Mi fermo a un bar, ordino un caffè.

Osservo la gente passeggiare, al tavolo alla mia sinistra una donna sembra in attesa di qualcuno, difronte un uomo fuma nervosamente mentre una giovane donna, sua figlia probabilmente, lo rimprovera per non aver mai smesso di fumare dopo l’infarto dell’anno precedente.

Considero che questo è un esempio in cui la ragione non riesce a controllare un desiderio e non posso non andare con la mente al lavoro, al rischio cardiovascolare e alla sua forte associazione con il fumo di sigaretta. Rifletto sul numero esiguo di persone che smettono di fumare dopo un evento cardiovascolare.

Un recente studio ha analizzato la relazione tra l’interruzione dell’esposizione tabagica e il rischio di recidive in 4673 soggetti con un recente evento cardiovascolare. Solo un terzo di essi aveva interrotto il fumo. Rispetto ai pazienti che avevano continuato a fumare hanno mostrato un minor numero di recidive cardiovascolari (- 34%), di mortalità (– 37%) e vivevano in media 5 anni di più. I vantaggi erano evidenti anche nei soggetti con un’età superiore a 70 anni. Inoltre, con smettere di fumare riduce il rischio in modo più incisivo rispetto a qualunque trattamento farmacologico.

Ritorno al presente. La giornata è perfetta: c’è il sole, ma non fa caldo. È tra i più bei momenti di un viaggio sedersi e riposare, mentre le nuove emozioni sedimentano nella memoria e ti spingono a nuovi progetti. Penso alle possibili escursioni fuori porta: a pochi chilometri c’è il caratteristico borgo di Saint Paul de Vence, si potrebbe andare alla ricerca delle tracce di Chagal, e poi c’è la magnifica Costa Azzurra.

Infine rifletto che “desiderare” potrebbe essere sostituito con “rispettare”. Suonerebbe più o meno così: rispetta gli altri, non cercare di appropriarti della loro roba, della loro donna. Si forse così va meglio.

di Vincenzo Capuano

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