Caso di corruzione a Castellabate, prosciolto l’ex soprintendente Miccio

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Incubo finito per l’ex soprintendente di Salerno Gennaro Miccio e per il funzionario della Soprintendenza Domenico Palladino, imputati con altre 18 persone, nell’ambito dell’inchiesta su una lottizzazione abusiva a Castellabate. nel cuore del Cilento: non ci fu alcun atto corruttivo dietro la nomina di un architetto. Lo ha stabilito – come scrive il quotidiano “Il Mattino” – il gup del tribunale di Vallo della Lucani, che ha accolto la tesi difensiva del legale dell’ex soprintendente, dichiarando il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste.

Dietro la nomina di quell’architetto non ci fu alcun atto corruttivo. Fine di un incubo per l’ex soprintendente di Salerno GennaroMiccio e per il funzionario della Soprintendenza Domenico Palladino imputati con altre 18 persone nell’ambito di una delicata inchiesta su una lottizzazione abusiva nel cuore del Cilento. A decretarlo, ieri, è stato il gup del tribunale di Vallo della Lucania Sergio Marotta il quale, accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato Franco Maldonato, ha dichiarato il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. Prosciolti, quindi, dalla pesantissima accusa anche l’architetto presunto beneficiario della nomina, assistito dall’avvocato Antonio Calabrese e Giuseppe Beneduce, legale rappresentante della società “Alba Costruzioni”, committente ed esecutore delle opere. Secondo quanto decretato dal gup quella nomina non fu il lasciapassare per la concessione del progetto edilizio relativo alla costruzione di strutture abitative in contrada Alano a Castellabate. Sono invece stati rinviati a giudizio per una serie di ipotesi di reato che vanno dal falso, all’abuso d’ufficio fino alla lottizzazione abusiva Giovanni Infante, responsabile dello Sportello Unico per le attività produttive di Vallo della Lucania; Adelio Nicoletta, responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune di Castellabate; Antonio Santoro, responsabile unico del procedimento ed altre 13 persone tra direttori dei lavori, legali rappresentanti delle società coinvolte e beneficiari del progetto. LE ACCUSE Al centro dell’inchiesta vi è il rilascio, da parte della Soprintendenza, di un provvedimento autorizzativo per un intervento edile riguardante la realizzazione di strutture abitative in contrada Alano a Castellabate. Era il 2015: ad un primo parere negativo espresso dalla soprintendenza e giustificato dalla circostanza che «il progetto prevedeva un intervento edile di eccessiva consistenza plano volumetrica», seguiva un cambio di rotta motivato da una “rimodulazione” del progetto che faceva ritenere l’intervento «compatibile con la tutela del sito». Tale rimodulazione, invece, per la Procura, «conteneva modifiche irrilevanti sotto il profilo plano-volumetrico consistenti in una diversa collocazione di un muro perimetrale tale da incidere in minima percentuale sulla volumetria». Proprio questa autorizzazione concessa dalla Soprintendenza e definita «atto contrario ai doveri d’ufficio» sarebbe stata finalizzata, secondo la tesi della Procura bocciata però dal gup, a far ottenere la nomina dell’architetto, «persona vicina a Miccio e a Palladino». La Procura contesta poi l’illegittimità del provvedimento autorizzativo, poiché «in palese contrasto con il piano regolatore generale in vigore nel Comune di Castellabate che prevede per la realizzazione di insediamenti produttivi a supporto dello sviluppo turistico, l’obbligo del Pip». Gli imputati rinviati a giudizio rispondono inoltre di una serie di falsi che sarebbero stati perpetrati per far passare il progetto senza le necessarie autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali. Una grossa fetta dell’inchiesta riguarda infine la presunta lottizzazione abusiva. L’opera – un fabbricato su tre livelli, composto da 15 appartamenti con annessi box, posti auto e locali non residenziali – con il suo lungo muro in cemento armato proprio lungo il confine con il demanio fluviale, avrebbe violato il regolamento comunale che non ammette la realizzazione di nuove volumetrie residenziali. Assente, inoltre, il preventivo nulla osta dell’Ente Parco. Ora sarà un processo a dover stabilire la verità.

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