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Coronavirus. Anche a Salerno allarmismo esagerato su whatsapp

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Nel cuore di Roma, tra le vie che abbracciano piazza Vittorio, i commercianti cinesi restano sull’uscio delle attività. «Non siamo in Cina ma la gente ha un po’ di paura», dice uno di loro in via Napoleone III. Non si palesa ancora come una vera e propria psicosi anche se i sintomi sembrerebbero proprio quelli perché la diffusione del coronavirus ha comunque innalzato i livelli di allerta e di preoccupazione tra le persone che frequentano il quartiere, da anni abitato dalla comunità cinese, pur non avendo fatto registrare casi di contagio nella Capitale.
Il risultato? I negozi restano vuoti nonostante i prezzi molto convenienti; che si tratti di abbigliamento, calzature, biancheria, «oggi abbiamo battuto appena cinque scontrini», dice la commessa di una delle tante attività commerciali sotto i portici di piazza Vittorio.

«C’è la crisi ma gli affari ne stanno risentendo, noi diciamo di star tranquilli non siamo lì, ci troviamo a Roma, i nostri parenti sono a casa laggiù, ma la gente preferisce non entrare, passerà». Ad essere maggiormente colpiti, sono i ristoranti cinesi e non solo quelli dell’Esquilino.

Mediamente in tutta la Capitale ci sono oltre 400 esercizi di somministrazione cinesi e in questi giorni le prenotazioni sono crollate del 70 per cento. Vale a dire che sette ristoranti su 10 hanno visto ridurre la clientela a pranzo e a cena e disdire le prenotazioni in una settimana importante come quella del Capodanno cinese, fanno sapere dalla comunità. Tavoli vuoti e cucine ferme. «Sta venendo meno gente – racconta il titolare di un ristorante sulla Tiburtina – qui è tutto sicuro ma il calo c’è». «I clienti più affezionati sono rimasti – aggiunge Anna Chiang storica titolare del ristorante Ruyi in via Valadier a Prati -. Speriamo che le cose migliorino, così è difficile. Da quando si è saputo del virus, tanti tavoli restano deserti». Il fenomeno si è esteso anche a quei bar, gestiti ad esempio, sempre intorno a piazza Vittorio da cittadini asiatici.

Per strada, all’Esquilino, si incontra più di un passante con il volto coperto da una mascherina. Italiani e cinesi non c’è differenza. E anche dentro quelle attività che, nonostante la paura, lavorano un po’ di più è il caso dei parrucchieri e delle estetiste i dipendenti si proteggono il naso e la bocca. «Solo un’accortezza per chi lavora da noi e per i clienti ma per ogni tipo di virus», spiega il titolare di un salone in via Carlo Alberto. Di certo, «a meno che non sia proprio necessario – racconta Nilde P., di fronte agli ex magazzini Mas – non entro in questi negozi pur servendomi spesso da loro. Sarà una sciocchezza ma preferisco in questo periodo non avere troppi contatti».

Non finisce qui perché oltre ai ristoranti e ai negozi, a restar vuote sono anche le agenzie di viaggio specializzate sull’Oriente. Il coronavirus ha fatto scendere le prenotazioni dei viaggi verso la Cina. Molte delle agenzie che da tempo operano sempre all’Esquilino da via Conte Verde a via Foscolo hanno mediamente registrato un calo e un cambio sulle prenotazione del 5%. «Diversi clienti hanno preferito spostare il biglietto e rimandare al partenza al prossimo mese spiega una dipendente dell’agenzia Lantian cielo blu nonostante i festeggiamenti per il Capodanno cinese. Una scelta personale e precauzionale anche se credo che la situazione sia sotto controllo. I miei genitori sono in Cina, stanno bene ma certamente stanno facendo molta attenzione: restano in casa ed escono di meno»

E la psicosi sta colpendo da Venezia a Rovigo fino a Siracusa. L’ossessione non risparmia in queste ore anche la Campania. A Napoli cosi come a Salerno sono in tanti a temere il contagio evitando di frequentare ristoranti e negozi cinesi. E da alcuni giorni sia sui social che su molti gruppi whatsapp girano le cosiddette “catene” dove si mettono in guardia i cittadini dal frequentare le attività orientali per non contrarre il virus. Un tam-tam assurdo che rischia di danneggiare tanti commercianti cinesi che non hanno nulla a che fare con il coronavirus.

Fonte Il Messaggero

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