Il tutto, il niente e il decadimento cognitivo (di Vincenzo Capuano)

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In uno dei tanti colloqui durante la sua malattia chiesi a mia madre se fosse contenta della vita che conduceva. Volevo stupidamente comprendere se per lei la vita, costretta com’era in quel letto, valeva la pena di essere vissuta. Dallo stupore che le lessi negli occhi capii che ne valeva la pena, non c’era dubbio, era ovvio. Ne fui contento.

Poi rimanemmo a lungo in silenzio e all’improvviso le chiesi: “A cosa stai pensando?”. Lei mi guardò, come a dire, quando la smetti di fare domande? e con un tono pacato rispose: “Tutto e niente”. Tacqui. Mi soffermai a riflettere su quella risposta, apparentemente banale e comune, che di solito si lascia scivolare via. Tutto, niente.

Gli opposti hanno confini fragili, basta un soffio e ti trovi dall’altra parte. Vincere e perdere, luce e buio, bianco e nero, vita e morte. Oltre il tutto non può che esserci il nulla, è dopo il nulla che iniziano tutte le cose. Ripresi a formulare domande alle quali non rispondeva sempre in maniera lucida. Mi chiesi se quell’evidente declino cognitivo fosse legato all’età o fosse qualcosa in più. Mi soffermai, quindi, a pensare come la demenza fosse uno dei maggiori problemi sanitari.

La migliore strategia di contrasto per rallentare il processo di deterioramento è la prevenzione e la stimolazione delle abilità cognitive. Il presupposto per questo tipo di intervento è la diagnosi precoce.

Un recente articolo pubblicato su Neurology, sostiene l’importanza di monitorare con regolarità la salute cognitiva dopo i 65 anni d’età. L’obiettivo è riconoscere in tempo utile una condizione definita: danno cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment, MCI), cioè i deficit cognitivi che non sono sufficientemente gravi per influire sulle attività quotidiane.

La diagnosi di MCI va fatta con test specifici ed è particolarmente importante perché indica un alto rischio di un successivo sviluppo di demenza progressiva. Gli autori invitano a valutazioni annuali che solo aiuteranno a identificare precocemente un MCI, ma aiuteranno anche i medici a monitorare più da vicino il possibile peggioramento della condizione.

Fondamentale è la valutazione e il trattamento dei fattori che possono contribuire all’MCI, tra cui i deficit dell’udito, la perdita visiva, l’insufficienza epatica o renale, la depressione, i disturbi del sonno e le malattie psichiatriche. Gli autori concludono sottolineando che una regolare valutazione della salute cognitiva potrebbe rendere più efficaci gli interventi terapeutici e offrire un maggiore supporto per i problemi quotidiani che i pazienti e le loro famiglie devono affrontare

Poi, ritornai al tutto e niente e non rammento inseguendo quale associazione di idee – le associazioni ti portano lontano senza una logica precisa – mi venne in mente quel rigore. La partita era stata infinita e, al momento dei rigori, per non assistere ai tiri, poiché il cuore mi batteva velocemente, presi la cinepresa. La puntai sui miei figli abbracciati, con gli occhi fissi sul video.

Quel giorno del 2006 osservavano tutti e tre, in piedi, dietro il divano di pelle celeste, quell’ultimo tiro. Li riprendevo per non vedere Grosso che stava per calciare. Dopo quel tiro il presente, terribilmente incerto, sarebbe diventato immediatamente passato, immodificabile per sempre. Per raccontare quell’evento si sarebbero usate solo frasi con il verbo al passato.

Quell’avventura che stava per terminare avrebbe avuto il sapore del tutto o del nulla: campioni del mondo o niente, come dopo i rigori di Napoli, sedici anni prima, contro l’Argentina di Maradona. Eravamo sugli spalti, mio padre e io, quando a rigori conclusi tornammo a casa con niente.

L’occhio nell’obiettivo: tutti e tre con i volti tesi, il fiato sospeso, un po’ impauriti… e poi in casa non si capì più nulla. Il tutto fu dentro di noi. Campioni del mondo.

Ma mia madre non aveva detto tutto o niente, aveva sussurrato: “Tutto e niente”.

Intanto che pensavo, lei mi chiedeva ripetutamente, come faceva spesso, di poter ritornare a casa, la sua casa. Avevo cercato di capire, in passato, a quale casa si riferisse e quel giorno lo compresi. Era la casa del tutto e del nulla.

Non si riferiva a nessuna delle case della sua esistenza, ma era l’abitazione in cui tutte le sue case vivevano insieme, in un’unica dimora: quella del rione Gelso dov’era nata; quella di via Fabrizio Pinto dove trascorse gli anni giovanili e della guerra; la casa in Val d’Agri con noi bambini; l’appartamento al primo piano di Via Arce. Era quella la casa in cui voleva ritornare, lì dove erano tutti i suoi ricordi, dove c’era sua nonna, i suoi genitori, i suoi fratelli, mio padre, noi figli e i nipoti, dove c’era tutto e… nulla.

“Quando ce ne andiamo?” ripeté.

“Quando vuoi, stai tranquilla. Andiamo a casa quando vuoi” risposi e le accarezzai i capelli. Lei si quietò, io continuai ad aggirarmi nei miei pensieri, tutto e nulla: inquietudine. L’ansia cresceva, perché il tutto riuscivo a vederlo, concepirlo, toccarlo, sentirlo, sapevo che potevo provare ad abbracciarlo, ma il niente, cos’era il niente?

Nel momento che provavo a configurarlo, spariva perché diventava concreto, esisteva… e non era più nulla. Forse il nulla è quello che percepiva mia madre, qualcosa di leggero che sfiori e poi passi ad altro senza che si concretizzi: un pensiero, un’azione, un ricordo… È tante case insieme, è tanti periodi insieme, è tanta gente insieme, ma non puoi toccarlo e non ha in comune né pareti, né tempo, né logica; se provi a spiegarlo, scompare.

Osservai di nuovo mia madre, le carezzai nuovamente i capelli e rimasi ancora a pensare.

Immagini sbiadite / gravide di ricordi evaporati. / Frammenti di storie passate / disgregate dal tempo, / satelliti del nulla. / Voci afone di corpi lontani / un lamento sordo nasconde il presente. / Una donna senza memoria / mi guarda e mi sorride.

Tornai a osservare mia madre e ripetei nuovamente: “Non preoccuparti, ora andiamo a casa”.

di Vincenzo Capuano

 

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