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Rhapsody in Blue – un’indagine a Roma (di Cosimo Risi)

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Il Vice Questore Carlo, Carlito, Salazar e l’Ispettore Antonio, Double Tony, D’Antonio, del Commissariato PS di Ponte Milvio, indagano sull’omicidio di una donna nel suo appartamento  a Roma Nord.

A pronunciare l’esclamazione è la cuoca. Tale deve essere il mestiere della nuova venuta, a giudicare dal grembiule macchiato di sugo e dalla bandana attorno ai capelli.

L’Ispettore ha bloccato la nuova arrivata sulla porta a impedirle che disturbi il muto colloquio del Vice Questore con la vittima.

Il Vice Questore è estraneo al colloquio mentre continua l’ispezione del sito. Il salotto è vasto, divani e poltrone disposti in due angoli, un tavolo rotondo da gioco con il tappeto verde e quattro sedie viennesi, una cristalliera accanto alla porta finestra chiusa e protetta dalla tenda. I quadri alle pareti sono di scuola barocca, una statua lignea della Madonna adorna il mobile basso. Un lampadario di cristallo a gocce è acceso al centro. Le due piantane ai lati sono spente.

Entrano il medico legale e la squadra della Scientifica. Sono vestiti da attori di CSI: pupazzi bianchi con i soprascarpa, le cuffie e i guanti dello stesso colore.

Il medico conferma la prima impressione: la donna è morta per il colpo alla testa presumibilmente inferto con la statuetta, il Budda di chissà quale provenienza esotica, che doveva già trovarsi nella stanza come soprammobile. La morte sarebbe avvenuta poco tempo prima del ritrovamento, l’autopsia dovrebbe confermarlo.

Il Vice Questore incarica l’Ispettore di prendere i dati della famiglia. La Signora aveva marito, figli, altra servitù? Deve aver aperto lei all’intruso conoscendolo e non provando alcuna diffidenza. A meno che l’intruso non avesse la chiave.

Salazar è un metronomo del mangiare, alle 13 il pranzo, alle 1930 la cena, dice che è per avere il tempo di digerire con una passeggiata. Piazzale di Ponte Milvio è affollato di movida di giorno, di sera, di notte.

I residenti non ne possono più del rumore e si vendicano con secchiate d’acqua sui frequentatori dei bar quando superano i decibel di tolleranza. Le automobili stazionano in terza fila, le strisce pedonali danno ricovero ai motorini quando non sono parcheggiati sui marciapiedi il cui territorio contendono ai tavoli dei ristoranti.

Che i pedoni procedano a slalom fra gli ostacoli. I vigili con la pettorina Roma Capitale ciondolano davanti all’edicola, il trambusto non li distoglie dalle chiacchiere con il giornalaio, una agente scende sulla carreggiata a bloccare il traffico, la badante con la vecchietta in carrozzina può finalmente attraversare.

Salazar varca la porta a vetri dell’Hostaria di Via della Farnesina. La vera cucina romanesca, recita l’insegna sotto al nome, il banco è un trionfo di carciofi alla romana,  puntarelle conciate con le acciughe, cicoria ripassata. Il vino della casa è imbevibile,    da cliente fisso è autorizzato a sceglierlo dalla carta o portarlo da casa.

Oggi finirà il Piedirosso flegreo e sconterà la protesta dell’oste che alla cucina romanesca vada abbinato un vino laziale, che so un Cesanese o un Merlot. Passi per il cesanese ma il merlot… E’ un vitigno internazionale, vorrebbe ribattere Salazar che in materia è puntiglioso. La discussione si ripete ogni volta che  porta la bottiglia da fuori, sospetta che all’oste non basti il diritto di tappo e preferisca il ricarico dei vini in carta.

Il dopo pasto conosce la passeggiata digestiva con precisi limiti toponomastici. Mai attraversare Ponte Milvio né Ponte Duca d’Aosta, arrivato all’Olimpico davanti all’Obelisco Dux , fortuna che la foga antifascista non cancellò l’epigrafe, torna indietro per il Lungotevere fino a Ponte Flaminio e di là per le viuzze interne raggiunge il Commissariato, che si staglia fra una chiesa e un complesso di case. Si arresta fra le due porte a vetro anti-sfondamento, risponde alla Guardia che da regolamento gli chiede di farsi riconoscere, mostra il tesserino mentre mormora un’imprecazione non a voce così bassa che l’altra non sente attraverso l’interfono.

Parte terza – segue

di Cosimo Risi

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