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L’incognita del tempo: Coronavirus e ripresa economica

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I provvedimenti adottati dall’Unione Europea che prevedono la costituzione di un Fondo per la ripresa, dotato di oltre 1.000 miliardi di euro,  utilizzabile in maniera proporzionale all’impatto che la pandemia ha avuto sui singoli Stati,  pone oggi non tanto un problema sull’efficacia della misura, ma soprattutto sui tempi in cui verrà realizzata, tempi che richiedono una risposta rapida per non accrescere il divario tra la speranza di ripresa ed il collasso economico del sistema produttivo e commerciale.

Indubbiamente, si tratta di un significativo passo in avanti, se consideriamo la posizione assunta solo qualche settimana addietro dal Presidente della BCE, Christine Lagarde, che aveva speso espressioni non rassicuranti sulla crescita dello spread dei Paesi mediterranei e sull’aumento del loro livello di indebitamento.

Si tratta, allora, della acquisita consapevolezza da parte delle Istituzioni Europee in ordine agli effetti economici, a dir poco devastanti, dovuti all’insorgere e al diffondersi della pandemia . Ciò nonostante, pare evidente che questi eventi hanno finito per colpire con modalità differenziate i vari Paesi.

Ad esempio è ben noto che la Germania abbia mantenuto, in questo tempo, funzionante l’intero complesso produttivo ed abbia, sia pure in parte, nonostante le interconnessioni dipendenti dalla globalizzazione, conservato fette significative di mercato.

Altri Paesi, come l’Italia, nell’adottare misure più rigide di protezione della salute pubblica, conoscono una drammatica riduzione del PIL, e, pur a fronte del momento, proprio l’Italia non ha ancora provveduto a predisporre un documento importantissimo come il Documento di Economia e Finanza,  che dovrebbe contenere serie previsioni sulla nostra economia nei prossimi mesi.

Inoltre, non può essere nascosto che la posizione del nostro Paese, e la stessa forza di contrattazione del Presidente del Consiglio, siano state incise dal contrasto nel Governo tra chi ritiene di opporsi agli aiuti previsti  dal c.d. Fondo Salva Stati (MES) e chi, invece, considera opportuno ricorrere a tali strumenti, contrapposizione che ha visto (di nuovo) unite le varie anime del sovranismo e del populismo nostrano.

Invece, non si è manifestata una concreta e comune linea politica, come pure sarebbe stato auspicabile in un Paese con una classe dirigente consapevole, in relazione alla concreta negoziazione delle misure del MES, inserendo in queste una clausola contenente una espressa rinuncia ad ogni condizione, e derogando al sistema di intervento negli Stati che questi finanziamenti intendono utilizzare.

In relazione proprio alle prospettive del Paese, ancora una volta si registra una spaccatura nella maggioranza, tra chi, come i grillini, continuano ad insistere per la distribuzione delle risorse ai fini del solo assistenzialismo, delineando con ciò un futuro reddito di sopravvivenza o di emergenza, e chi, come il PD (nella persona del Ministro Gualtieri), intende prevalentemente utilizzare le risorse per la ripresa dell’economia, in tal modo volendo difendere la stessa credibilità dell’Italia sui mercati.

Si tratta di un contrasto di non poco momento e che propone due visioni antitetiche delle misure da utilizzare per il superamento della crisi, ma non può non evidenziarsi la intrinseca incongruenza che si rinviene nella proposta di misure di natura assistenziale, distribuite per altro “a pioggia”, e che non restano idonee ad alcun effetto espansivo, neppure sotto il profilo della ripresa dei consumi.

Invero, la soluzione più seria andrebbe ricercata nell’assicurare un minimo livello di protezione per le fasce più deboli della popolazione (con strumenti diversi da quelli che hanno caratterizzato il reddito di cittadinanza, il quale non ha prodotto alcun concreto effetto sul mercato del lavoro), in uno al necessario sostegno delle imprese, perché senza il loro “recupero” non si potrebbe neppure immaginare la ripresa.

Ancora una volta, la politica dei grillini, sostanzialmente ispirata da un’evidente ideologia contro l’ “impresa”, rischia di minare i risultati pure raggiunti dal Governo nelle trattative con l’Unione Europea, non comprendendo che le misure meramente assistenziali proposte finirebbero per tutelare (direttamente o indirettamente) il lavoro nero ed il sommerso, mentre non assicurerebbero alcun sostegno alle categorie di lavoratori autonomi, che più di altri, hanno subito gli effetti della crisi.

Basti pensare ai veri e propri vuoti normativi che hanno caratterizzato la disciplina delle misure di sostegno per gli autonomi iscritti nella Casse professionali, soprattutto per i nuovi iscritti (tutti giovani professionisti con bassissimo o inesistente reddito), che non potrebbero accedere né alle provvidenze dell’INPS né a quelle delle Casse.

Bisogna, allora, assolutamente evitare che le forze politiche, in un clima autoreferenziale di mera contrapposizione, in attesa di elezioni che non sono all’orizzonte, consumino il loro tempo in contrapposizioni inutili con altri Paesi europei, ma soprattutto sarebbe necessario accrescere il livello di forza negoziale dell’Italia nell’Unione, senza la quale non vi è alcuna speranza. Non c’è più tempo, ed ogni inutile ritardo concretizza un attacco a quegli interessi nazionali, che tutti, ma solo a parole, intendono salvaguardare.

Giuseppe Fauceglia

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