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Il plasma per battere il Coronavirus: la terapia funziona

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Si apre uno spiraglio per una nuova possibile cura per il Coronavirus, la terapia al plasma. Questa sperimentazione starebbe avendo già i primi risultati tra decine di pazienti in alcuni ospedali del Nord Italia.

In prima linea in questa terapia ci sono il policlinico universitario San Matteo di Pavia, il Carlo Poma di Mantova e i noscomi di Novara, Piemonte e Padova. Un primo studio sull’utilizzo del plasma nei pazienti con Coronavirus si è concluso da qualche giorno e secondo quanto riferito da Massimo Franchini, responsabile del reparto di Immunoematologia e Medicina trasfusionale dell’ospedale mantovano, ci sono stati buoni risultati.

Come funziona la terapia con il plasma iperimmune
Il plasma iperimmune, ovvero quello prelevato dai pazienti guariti dal Coronavirus, secondo quanto detto da Franchini: “Sta avendo risultati sorprendenti“. A questa cura sono stati sottoposti i pazienti che presentavano problemi più gravi e correvano il rischio di essere trasferiti in Terapia Intensiva: “Ora con i colleghi di Pavia stiamo riesaminando tutti i casi, valutando la risposta clinica e strumentale, per trarre delle conclusioni generali su questa che è una terapia specifica contro Covid-19”.

Sempre secondo quanto spiegato da Franchini i miglioramenti sono cominciati a essere evidenti già dopo un paio di giorni dall’inizio della terapia. Il dottore rassicura che la procedura è molto sicura, poiché viene prelevato il sangue dei donatori e isolato dal plasma, infine si applicano alcune procedure grazie alle quali si inattivano sostanze che potrebbero essere dannose per il ricevente.

“Il plasma prodotto in questo modo è sicuro e la possibilità che trasmetta malattie infettive è pari a zero -specifica Franchini- si tratta di una terapia di emergenza, ma noi non abbiamo realizzato un protocollo d’emergenza: si tratta di un lavoro rigoroso che segue le indicazioni del Centro nazionale sangue. Il risultato è una terapia specifica e mirata, all’insegna della massima sicurezza”.

Una procedura che non è stata utilizzata solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, dove sono state avviate molte sperimentazioni simili, così come risultati incoraggianti sono arrivati dalla Cina. Il limite a questa cura è dato dalla disponibilità dei donatori che chiaramente non è illimitata. Cosa che ha fatto notare il virologo Roberto Burioni, che negli ultimi giorni ha spiegato come fosse una terapia già esistente e che bisogna essere certi della salute dei pazienti-donatori per procedere.

Ma Giuseppe del Donno, direttore di pneumatologia del Carlo Poma di Mantova, ha contraddetto immediatamente il professor Burioni: “Forse il professore non sa cosa è il test di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Importante è salvare vite”.

fonte VocediNapoli.it

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