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Le buone e le cattive notizie nel tempo del Coronavirus

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Questo articolo chiude le mie riflessioni sul “tempo del coronavirus”, non perché siano cessati gli effetti della pandemia, ma perché al tempo della “paura” e del “silenzio” seguirà quello dei movimenti di piazza conseguenti all’implodere della crisi.

In questo periodo, a parte i bollettini mortuari e le raccomandazioni contraddittorie o interessate dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (non sarebbe il caso di  ritenerla “inutile”, anche considerati i costi e la sua subalternità  agli interessi cinesi ?), siamo stati bombardati da notizie che hanno reso ancora più confusa la percezione degli eventi. Ma forse era proprio questo l’obiettivo di coloro il flusso di quelle notizie hanno controllato e controlla.

In particolare, quelle provenienti dal mondo economico sono apparse davvero di difficile interpretazione. Basti pensare a quanto abbiamo potuto leggere sul calo della disoccupazione USA nel mese di maggio, che secondo i dati del primo momento sarebbe scesa al 13,3%, salvo conoscere, qualche giorno dopo e a seguito dei rilievi svolti da centri di ricerca indipendenti,  la precisazione del Department of Labor, secondo cui vi era stato un errore nella ripartizione dei cittadini nelle categorie statistiche elaborate dagli uffici, con la conseguenza che la disoccupazione USA resta al 16,3%.

Anche in Italia abbiamo assistito ad una vera valanga di dati statistici, provenienti dall’INPS e dall’ISTAT, che hanno rappresentato un vero e proprio labirinto, nel quale hanno trovato spazio manovre mediatiche, se non vicine alla pura propaganda.

Molti lavoratori, a seguito del lockdown, sono stati classificati come “assenti dal lavoro per motivi vari”, senza considerare che alcuni di questi erano da ritenersi “temporaneamente disoccupati” o “disoccupati per intervenuta cessazione dell’attività aziendale”. Che dire poi delle contraddittorie notizie sulla erogazione della cassa integrazione guadagni, percepita, in misura percentuale rispetto agli aventi diritti, da pochi lavoratori.

Il problema è evidente:  una volta alla guida di questi Enti, sia pure nominati dalla politica, vi erano persone non solo dotate di un elevato bagaglio cognitivo e culturale, ma soprattutto caratterizzate da una certa indipendenza (più o meno accentuata rispetto ai periodi storici) nei confronti del Governo (ovvero da chi, in ragione della maggioranza parlamentare, li aveva nominati).

Ora non pare essere più così !! Per questa ragione enti ed Autorità che dovrebbero essere, proprio per la loro funzione, indipendenti dal potere politico, finiscono per trasformarsi nel “megafono” mediatico della propaganda di regime.

Questo fenomeno si è accentuato con i governi giallo-verde-rosso, che nella prospettiva di un’occupazione sistemica dei centri di potere, hanno finito per valorizzare la fedeltà di appartenenza e di interessi, piuttosto che il merito e l’indipendenza. E’ una pagina triste che tra qualche decennio sarà analizzata dagli storici, e che si pone in continuità con una tendenza che era stata già percepita dai più acuti osservatori politici negli anni passati.

Tornando al mercato del lavoro e alla disoccupazione, pare evidente che il Governo, imballato nelle sue contraddizioni e nei contrasti tra le forze politiche che lo compongono, non sia in grado neppure di prevedere l’impatto che la crisi avrà sul mercato del lavoro, sulla chiusura di moltissime piccole e medie imprese, sugli effetti a catena della crisi dei grandi gruppi industriali.

Gli effetti sono già di tutta evidenza: giovedì la pandemia ha bruciato nella Borsa di Milano 21 miliardi di euro, e si stima che la rinuncia agli investimenti delle famiglie per fronteggiare la brusca caduta del reddito è complessivamente pari a 140 miliardi di euro (vedi il rapporto di Banca d’Italia).

A marzo poi, in corrispondenza con il lockdown, si è registrata una vera e propria fuga dei capitali esteri, come non si vedeva dal 2011. Stiamo assistendo ad un crollo vertiginoso delle economie degli Stati europei, con effetti ancora più devastanti in Italia, in cui la irresponsabilità sistemica che caratterizza il sistema giustizia e il governo pubblico dell’economia finiscono per ostacolare anche la più lenta ripresa.

Naturalmente, il sistema mediatico-pubblicitario sapientemente costruito ci racconteranno di crescita del PIL rispetto al calo spaventoso preventivato, senza considerare che anche questo dato si presenta ingannevole quando c’è una elevata fluttuazione nel breve periodo (in tal senso, si esprime il premio Nobel per l’Economia, Michael Spence).

Attendiamoci, allora, notizie contraddittorie e altalenanti, che getteranno ancora più sconcerto tra i cittadini, i quali saranno destinati a subire una patrimoniale mascherata senza conoscere la destinazione dei loro risparmi, magari finalizzati più che ad assicurare la crescita, a finanziare gli inutili redditi di cittadinanza.

Giuseppe Fauceglia

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