Gli USA e la Cina. Con l’Europa in mezzo (di Cosimo Risi)

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La Cina incombeva sui nostri destini ben prima della pandemia. La Cina per delocalizzare le produzioni inquinanti e a alto costo, là – si diceva – si può fare di tutto e di più senza l’ingombro delle norme europee. La Cina per importare prodotti a basso contenuto tecnologico e basso prezzo. La Cina delle opportunità cui vendere aziende e infrastrutture ignorate dal capitalismo europeo. La Cina bonne à tout faire.

Tutto questo fino a febbraio 2020. Dopo, la percezione del paese cambia. Si susseguono gli interrogativi. Non è che la mancanza di controlli, che tanto giova all’economia di scala, si sia manifestata anche in campo sanitario? Scartiamo pure l’ipotesi del virus diffuso con malizia, non è che la scarsa vigilanza l’abbia liberato per imperizia? Quando esattamente si sono manifestati i primi casi? A inizio 2020 o sul finire del 2019? Se allora, perché le autorità cinesi e internazionali (l’OMS a trazione cinese) non hanno dato subito l’allarme?

Il ritardo nel dichiarare la zona rossa in certi Comuni lombardi è oggetto di indagine giudiziaria in Italia, e si tratta di pochi giorni. Nel caso cinese il ritardo sarebbe di mesi. In quel periodo ben diversa e più tempestiva sarebbe stata la reazione d’Europa ad un virus che  riteneva limitato al solo paese asiatico.

Gli Stati Uniti hanno inizialmente sottovalutato, la solita risposta da Far West dell’epopea cinematografica.  Il virus non esiste e se esiste a noi “fa un baffo”. Poi la caterva di numeri sempre più inquietanti fino alla decisione di chiudere la capitale ideale del mondo, New York City.

L’atteggiamento del Presidente Trump oscilla dalla richiesta a Xi jinping di collaborare all’accusa di avere trascurato lo scoppio del virus. Bisogna rivedere i rapporti con la Cina, già tesi sul piano commerciale nella giostra dei balzelli fiscali imposti dalle due parti. La revisione è d’ufficio estesa al mondo occidentale, compreso il Regno Unito responsabile di voler allegramente affidare il 5G alla tecnologia Huawei.

L’Italia si apprestava a percorrere la via della seta. Fedele al ricordo di Matteo Ricci e Marco Polo, è la  naturale candidata all’apertura cinese al mondo di qua. La doccia fredda del raffreddamento americano ci lascia smarriti.

Interviene la Commissione europea. A smentire la fatwa sovranista contro i tecnocrati sordi ai rumori del mondo, Bruxelles pubblica il rapporto sulla “disinformatia”: la disciplina, una volta sovietica, è ora appannaggio di potenze terze interessate ai nostri affari interni.

La “infodemia”, così il Rapporto della Commissione definisce l’inquinamento delle informazioni da parte degli agenti stranieri: per minare i rapporti fra i cittadini e le istituzioni, diffondere notizie fuorvianti sulla diffusione del virus e sui rimedi,  suscitare gratitudine per gli aiuti esterni e delusione per la modestia degli aiuti europei.

Fra la Cina e l’Europa esiste un’asimmetria informativa e normativa. I cinesi sanno molto di noi, noi non sappiamo altrettanto di loro. Le imprese cinesi sono sovvenzionate  dallo stato e concorrono in posizioni di vantaggio agli appalti internazionali, nell’Unione gli aiuti di stato erano vietati prima dello sblocco con la pandemia.

La Commissione medita di introdurre una sorta di golden power per proteggere le aziende strategiche dalle scorribande straniere. La Cina non è menzionata ma la tempistica è eloquente.

L’Alto Rappresentante europeo rassicura l’omologo cinese: no alla nuova guerra fredda, si alla rimodulazione dei rapporti internazionali.

di Cosimo Risi

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