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Giordano su il Corriere: i contagi risalgono rinunce subito o addio scuola

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Conviene ritornare per un attimo con la mente al lockdown, quando si parlava di questa nostra estate. Delle cupole di plexiglas sotto le quali avremmo preso il sole come rettili in una teca.

Dei bagni in mare scrutati da guardiani. Di lettini a tempo, così distanti l’uno dall’altro da dover comunicare per telefono. Ora sappiamo che quella distopia non si è prodotta, e non perché le precauzioni siano diventate a un tratto superflue, ma perché quelle proposte erano per lo più delle idiozie. Lo scrive Paolo Giordano su Il Corriere.it

L’estate è iniziata su presupposti pericolosi. In un momento di prostrazione inedita per il Paese, tutti noi ancora scossi dallo spavento di marzo e aprile, certi messaggi hanno contribuito a diffondere su larga scala un’illusione confortevole di immunità. La malattia che non esisteva più «clinicamente», il dato giornaliero dei nuovi contagi che non era «mai stato così basso da marzo», anzi da febbraio, ed ecco che segnava un altro minimo record: se molte delle affermazioni erano formalmente corrette, il modo di comunicarle è stato quanto meno incauto, perché non teneva in conto la nostra fragilità eccezionale, quanto fossimo pronti ad aggrapparci a ciò che volevamo ascoltare.

Si è fatta spazio l’idea che fosse il meccanismo intrinseco del contagio a essere cambiato, magari il virus stesso per una sua mutazione, che il miglioramento non fosse dovuto, semmai, al mutare del contesto intorno al virus, alle imposizioni e alle nostre accortezze, alla maggiore organizzazione del sistema. In una parola: ai sacrifici.
La responsabilità non funziona troppo bene come atto volontario. La responsabilità, soprattutto quella condivisa, è un clima. Difficile da creare e molto facile da disperdere. A un certo punto la curva della nostra responsabilità ha cambiato andamento, ha invertito la concavità. E noi siamo partiti per le vacanze.

Ma adesso anche la curva dei contagi ha cambiato concavità. Dopo essere stata a lungo rivolta verso il basso, punta di nuovo in su. Chi presta attenzione al bollettino se n’è accorto istintivamente. Chi tiene ancora d’occhio il grafico l’ha visto nella coda che si solleva appena. E chi non trovasse convincenti le considerazioni qualitative (non lo sono, convincenti) può prendere in esame l’andamento delle ospedalizzazioni in Veneto. La Regione Veneto ha infatti il merito di fornire il dato dei nuovi ricoveri corretto rispetto alla settimana di evento, al netto cioè di degenze e dimissioni. Ci mostra il flusso effettivo dei nuovi pazienti. Il trend è di crescita anche lì.

L’obiezione immediata è che i numeri assoluti restano bassi, perché parlarne quindi? Ma se in un’epidemia i numeri assoluti sono importanti, lo sono ancora di più le pendenze, le derivate prime e seconde. Allora ricomincia? Non è esatto neppure questo. Le condizioni al contorno sono cambiate dalla primavera, esiste oggi un apparato pubblico intero per il contenimento del Covid, avrà le sue falle, ma c’è.

Pensare di ritrovarsi all’improvviso ad aprile, barricati in casa con gli ospedali che traboccano e la farina esaurita nei supermercati, sarebbe pura suggestione, l’ennesima mancanza di fantasia in questo strano contesto, la prova di come siamo portati a ragionare binariamente. O l’emergenza acuta o nessuna emergenza, il confino oppure la libertà senza freni, quando la disposizione mentale adeguata sarebbe intermedia. Un’allerta senza allarme, una rilassatezza sì ma guardinga; una libertà vigilata, benché mi accorga dell’antipatia di questa espressione, in generale e tanto più in un giorno di festa come oggi.

Sebbene siamo più protetti dal contesto, esistono inoltre delle criticità nuove, prima fra tutte l’atteggiamento mutato. Lo scetticismo che già serpeggiava durante la crisi acuta è diventato in molti una vera e propria resistenza all’ipotesi del contagio. Si parla di negazionismo, ma si tratta più di un ottenebramento. A prescindere dalla definizione, significa avere una parte di popolazione ancora più suscettibile al virus perché meno prudente. Dell’insieme fanno certo parte molti giovani, non per un menefreghismo connaturato come si è detto, ma per la convinzione ormai radicata che la malattia li risparmi, che siano al più degli asintomatici, unita all’istinto onnipotente — questo sì molto giovanile — di poter controllare l’eventuale linea di trasmissione che li incroci.

Fonte Il Corriere articolo di Paolo Giordano

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