La diplomazia vincente di Trump (di Cosimo Risi)

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Donald Trump, il suo Segretario di Stato Mike Pompeo, il suo Consigliere e genero Jared Kushner stanno provando a ridisegnare la mappa del Medio Oriente – Golfo con un’operazione che dovrebbe portare ad un dividendo immediato e uno remoto. L’immediato si consuma ai primi di novembre con la rielezione di Trump, pronto però a contestare l’esito delle urne se gli fosse sfavorevole.

Il remoto vede il saldarsi della convergenza, e potenziale alleanza, fra le potenze sunnite arabe e Israele nel segno del contenimento dell’Iran e per non lasciare alla sola Turchia la difesa della Sunna nella regione.

L’acrobazia diplomatica sembra ispirata più che subita dal massimo beneficiario: il Premier Benjamin Netanyahu. Nella sua lunga carriera alla guida d’Israele, egli riesce ogni volta a farsi rieleggere e così schivare i colpi che la magistratura tenta di infliggergli con le chiamate in giudizio. Una sorta di impunità politica che confligge con la parità davanti alla legge tipica del paese.

A giorni, alla Casa Bianca, auspice il terzetto di cui sopra, Israele firmerà contemporaneamente con Emirati Arabi Uniti e Bahrein gli accordi di mutuo riconoscimento. Anche Manama si è unita alla legittimazione dello stato ebraico, noncurante del dissenso palestinese e delle minacce iraniane.

Seguirà probabilmente l’Oman, mentre per Arabia Saudita e Kuwait, gli altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, bisognerà attendere tempi migliori: verosimilmente l’auspicata (dalle parti) conferma di Trump. L’avvento di Joe Biden non è destinato a produrre sconquassi, note essendo le simpatie, ricambiate, dei Democratici verso Israele e la comunità ebraica americana. Un cambio di passo è comunque presumibile, di qui la prudenza delle già prudenti case Saud e Sabah.

Bahrein mostra coraggio nell’affrontare il passo. Il paese è piccolo e non fra i più ricchi del Golfo mancando di risorse petrolifere importanti. La maggioranza della popolazione è sciita mentre la famiglia regnante Al – Khalifa appartiene alla minoranza sunnita. Fu attraversato dalla Primavera araba agli inizi del decennio, l’esito non fu la liberalizzazione ma il restringimento degli spazi politici. La dirigenza teme che qualsiasi allargamento delle maglie favorisca l’avvento della maggioranza, e dunque l’avvicinamento all’Iran. Lo stesso processo si innescò in Iraq dopo la destituzione di Saddam Hussein con le conseguenze che si conoscono.

Il primo passo verso la normalizzazione è la pax aerea con Israele. I voli El Al potranno attraversare lo spazio aereo bahrenita per raggiungere gli EAU e proseguire verso l’Asia. Altre facilitazioni seguiranno, compresa quella del migliore accesso alle provvidenze americane, militari e tecnologiche che siano.

La dirigenza palestinese si trova stretta nel dilemma fra il respingere gli accordi in quanto tradimento della causa araba o acconciarsi alla nuova situazione rilanciando i negoziati con Israele. La Lega Araba si astiene dal prendere posizione ed infatti respinge la proposta di condannare gli accordi. E d’altronde l’Egitto, che al Cairo ospita la sede della Lega, li saluta con favore.

Un dato emerge. Cade il tabù della posizione araba, o di certi paesi arabi, per cui l’accomodamento con Israele è possibile solo se il paese torna ai confini precedenti il 1967, e cioè prima della Guerra dei Sei Giorni e della massima espansione territoriale. Si accetta lo stato di fatto come irreversibile e si ragiona semmai su come migliorare la condizione dei Palestinesi con interventi sull’economia.

E’ l’annesso al “piano del secolo” proposto dagli Stati Uniti nel 2019 e che segna i primi passi con gli accordi ora alla firma.

di Cosimo Risi

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