Il mito della disintermediazione e il popolo intuito dal capo

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Il 12 settembre in Turchia, la famigerata Procura di Ankara, che ha prontamente eseguito i voleri di Erdogan, ha emesso 55 mandati di arresto contro avvocati, con l’accusa di “aver difeso affiliati all’organizzazione di Gulen” e di “aver cercato di manipolare i processi in favore dell’organizzazione terroristica con la scusa di avvalersi della legge”.

Alcuni capi di accusa fanno riferimento al fatto che gli avvocati arrestati avrebbero sollevato nel corso dei giudizi eccezioni processuali e richiesto prove a difesa dei loro assistiti: insomma, si imputa ai difensori di aver svolto il loro dovere.

In Turchia gli avvocati indagati sono 1.480, di cui 570 detenuti nelle terribili carceri speciali e 441 sono stati condannati sulla base di un processo farlocco, in cui gli imputati non hanno potuto neppure nominare difensori di fiducia, essendo stati assistiti da avvocati nominati direttamente dalla Procura (dunque, sostanzialmente proni al volere dell’ “accusa” e non in grado di esercitare il mandato, perché passibili – a loro volta – di collusione con gli imputati), e sulla scorta di prove precostituite senza alcuna possibilità concreta di contestarle. Molti dei condannati hanno iniziato uno sciopero della fame, lo stesso che ha portato alla morte dell’avvocato Ebru Timtik, l’eroina dei diritti umani in Turchia.

L’attacco violento  all’avvocatura è frutto della volontà del Governo di colpire l’impegno degli avvocati di opporsi alla politica del regime, a difesa dei diritti umani e del diritto di difesa.

Questi episodi sono solo gli ultimi, e l’inizio della “fine del diritto” si ravvisa nelle leggi liberticide, che hanno sostanzialmente messo il bavaglio al Parlamento, finanche con l’arresto di alcuni deputati dell’opposizione, e con la diffusione dell’idea dell’inutilità o dannosità del sistema rappresentativo democratico.

La tendenza non può ritenersi limitata alla sola Turchia, ma investe, sia pure in diversa misura, anche Paesi dell’Unione Europea, come l’Ungheria, in cui Victor Orbàn ha messo in un angolo il Parlamento ed ha accentrato in sé tutti i poteri nella fase dell’emergenza pandemica, continuando imperterrito ad esercitarli anche dopo la fine della fase più acuta dell’epidemia.

L’attacco alla democrazia parlamentare è fenomeno riscontrabile anche in Italia. Tutto è iniziato con la teoria della disintermediazione, ritenendo che la democrazia non abbisogna di rappresentanti liberamente eletti, ma si realizza nella “rete”, con l’organizzazione di un consenso presunto e non verificabile.

Siamo così passati alla teoria dell’ “uno vale uno”, in cui competenze e conoscenze non esistono più, con la conseguenza che la “rete”, con poche decine di voti, ha indicato i candidati a Camera e Senato, ed il conseguente risultato elettorale ha portato alla più incredibile composizione soggettiva degli organi istituzionali dalla nascita della Repubblica.

Dappoi, vi è stato l’attacco populista alle spese della politica, in sé giusto se riferito alle – a volte – inutili  dissipazioni di denaro pubblico, che, invero, si registra anche nei Ministeri, come quello degli Esteri e dapprima quello del Lavoro, dove sono spesi  centinaia di migliaia di euro per consulenti dall’incerta esperienza e competenza curriculare; senza contare l’occupazione sistematica di importantissime società a partecipazione pubblica, in cui sono stati nominati “amici” ed “amici degli amici” .

Il populismo non distingue – ma la distinzione imporrebbe una certa consapevolezza cognitiva – tra le spese della politica (che vanno ridotte) e le spese delle istituzioni (che sono quelle necessarie per il funzionamento degli organi a rilevanza costituzionale).

Bisogna mostrare al popolo, le cui pulsioni sono intuite dal “Capo” e trasformate in sciagurate iniziative legislative, il volto truce della “sforbiciata”, senza curarsi di assicurare l’effettiva rappresentanza di interi territori periferici e senza riflettere che lo stesso obiettivo avrebbe potuto essere raggiunto, con le medesime maggioranze parlamentari, con la riduzione delle rilevanti indennità o, in termini di efficienza delle istituzioni, con la revisione degli attuali regolamenti di Camera e Senato.

Le due questioni che ho tentato, sia pure brevemente, di analizzare restano tra loro contigue e connesse: siamo proprio sicuri che l’attacco alla democrazia parlamentare non nasconda un disegno autoritario volto ad eliminare quelle garanzie costituzionali – che interessano, prima o poi, tutti i cittadini – che ancora esistono nel nostro Paese ?

Giuseppe Fauceglia

4 Commenti

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  • Mi scusi prof. Fauceglia ma non rispondo perchè bisogna attendere l’esito del referundum una volta avuto il responso, per correttezza, risponderò.

  • Lei insegna??? la sua devira antipopulista e, segnatamente di destra, non fa di lei una persona idonea all’insegnamento. cambi mestiere e subito per il bene dei suoi allievi. Bene disse il salernitano che non vale la pena di spendere tempo a leggere i suoi pregiudizievoli commenti

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