Mutui? Perché ora cambia tutto. La mossa per avere la rata soft

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I tassi di interesse sui mutui prima casa sono molto bassi. Hanno toccato nuovi minimi, scendendo per la prima volta sotto lo 0,5%. Il fenomeno è particolarmente evidente sul tasso fisso, se si pensa che a inizio 2019, prima dell’inizio dell’emergenza coronavirus, questa opzione costava intorno all’1,5% per un prestito di durata ventennale.

Il crollo della rata è stato determinato dal virtuale azzeramento dei tassi di interesse di lungo termine basati sul parametro Irs (interest rate swap) che serve come base per il calcolo della rata a tasso fisso, data per l’appunto dalla somma tra il tasso Irs e lo spread, cioè la maggiorazione richiesta dalla banca per erogare l’operazione di finanziamento.

Facciamo due conti. È bene puntualizzare una cosa che farà piacere a chi è in cerca di un’abitazione. Oggi il tasso Irs è negativo per la scadenza a 10 anni (-0,22%) e minimamente positivo, pari allo 0,05% sulla durata dei 20 anni. Scende ulteriormente allo 0,04% sulla scadenza trentennale.

Lo spread bancario è sceso poi a livelli molto bassi di 20-40 centesimi di punto a causa dell’agguerrita concorrenza tra gli istituti di credito per accaparrarsi i pochi clienti rimasti. Anche il tasso variabile ha registrato un forte decremento, passando da una media dello 0,7% sulle scadenze ventennali allo 0,4%, con punte dello 0,3% per le offerte più aggressive.

Dal punto di vista delle famiglie che hanno richiesto un mutuo il beneficio è notevole. La rata media mensile è di 333 euro, in calo del 3,2%. Inoltre, a questo livello di tassi Irs per i mutui a tasso fisso viene a cadere la convenienza economica a stipulare un prestito a tasso variabile: mentre a inizio 2019 la forbice tra il tasso fisso e il tasso variabile era di circa 80 centesimi di punto (il tasso fisso costava 80 centesimi in più del variabile), adesso questa differenza si è ridotta a meno di 20 centesimi.

Perché accade questo? È presto detto. Tutto dipende dalla crisi economica innescata dal Covid e dall’ulteriore allargamento dei cordoni della politica monetaria da parte della Bce, oltre che per un calo evidente della domanda di mutui nei mesi peggiori della pandemia. Secondo le ultime elaborazioni Crif, stando a quanto scrive il Corriere della Sera, il 41,3% della popolazione maggiorenne residente in Italia ha un prestito attivo (e i mutui rappresentano oltre il 20% di questa voce).

Tuttavia, il crollo delle compravendite immobiliari nel secondo semestre del 2020 ha inferto un colpo durissimo al settore. Non a caso l’Agenzia delle entrate evidenzia una riduzione delle compravendite di oltre il 27%, sebbene la riduzione nel mese di giugno abbia subito un notevole rallentamento e si sia fermata ad un -0,6%.

Ne segue una corsa al tasso fisso. Su 10 italiani che stipulano un nuovo mutuo, 9 scelgano l’opzione tasso fisso. Non è un caso. Gli italiani approfittano della situazione attuale per investire sul mattone, perché non è detto che la situazione non possa cambiare in futuro.

Infatti, se le misure di stimolo all’economia (come per esempio i fondi derivanti dal Recovery Fund dell’Europa) e il rilancio dell’inflazione (si vedano le politiche monetarie della Fed americana) avranno successo, nel corso dei prossimi anni il tasso Irs dovrebbe tornare a crescere. Rendendo più complicato (e più costoso) comprare casa.

Fonte: IlGiornale.it

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