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Cosa aspettarsi da Joe Biden (di Cosimo Risi)

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La Presidenza Biden è chiamata a rispristinare il clima di fiducia e comprensione che ha dominato le relazioni transatlantiche dal 1945 al 2016, quando interviene la cesura della Presidenza Trump.

Questi non innova radicalmente rispetto al passato, segni di incomprensione si manifestavano da tempo, presenta le singole politiche in modo volutamente aggressivo se non sprezzante verso gli Europei, predilige al contrario il dialogo con i leader forti  salvo ricredersi con alcuni (Nord Corea, Cina).

La vecchia Europa è dapprima incredula, abituata com’è a contare sull’amico americano nelle vicende cruciali. Dopo il primo scossone, la caduta del Muro di Berlino non l’ha risvegliata dall’atarassia strategica. La fine del bipolarismo avrebbe dovuto innescare il processo virtuoso dall’unificazione della Germania, lo stato membro leader, all’unità del Continente.

Non bastava il mero allargamento ai paesi già comunisti dell’Est, che alla lunga si sono posti a freno del processo. A ventisei anni dall’adesione, Polonia e Ungheria, i membri più rappresentativi della vecchia guardia, sostengono posizioni indifendibili in materia di libertà.

Nella migliore tradizione funzionalista l’Europa si è trasformata da Comunità in Unione e si è dotata della strumentazione istituzionale per tentare il salto nella grande politica, la “haute politique” di scuola francese. La strumentazione rimane in parte inutilizzata, mentre irrompono le potenze globali di Cina e Russia, l’erede dell’URSS e con una certa nostalgia per il passato.

Ci sono gli Stati Uniti, l’Europa può loro delegare la sicurezza per continuare, all’interno,  a coltivare il sistema di welfare nonché dilaniarsi in diatribe fino al recesso britannico. Solo che gli Stati Uniti, ben prima della Presidenza Trump, conducono  una manovra di progressivo sganciamento dalle aree di tradizionale interesse, Europa compresa, per guardare altrove: verso il Pacifico e il Grande Medio Oriente.

La scena si sposta dall’Atlantico al Pacifico, al Golfo Persico, al Mare della Cina. Del precedente copione resta la diffidenza verso la Russia, il vecchio e nuovo avversario cui la Presidenza Putin conferisce un volto arcigno. Eppure è la stessa Russia con cui l’Unione ha concluso il partenariato per la pace, nel famoso “spirito di Pratica di Mare”.

Trump mette allo scoperto la fragilità d’Europa in quanto contraltare all’affermarsi dello slogan America First. Persegue l’interesse nazionale, non importa se conflittuale con gli alleati: che questi si adeguino o la mannaia cade anche su loro. Ne è prova l’applicazione extraterritoriale delle sanzioni all’Iran: le imprese europee saranno danneggiate se osano commerciare con Teheran.

Egli denuncia l’accordo sul nucleare con l’Iran, esce dagli accordi di Parigi sul clima, mette in discussione l’Organizzazione Mondiale del Commercio e in generale il multilateralismo, critica la partecipazione europea alla NATO fino a dubitare dell’utilità stessa  dell’Organizzazione.    Lancia messaggi che l’Europa non può ignorare: i rapporti con la Cina vanno riveduti per  una maggiore simmetria.

Solo la pandemia rende l’Europa consapevole dei rischi di esternalizzare certe produzioni strategiche (eccipienti dei farmaci, attrezzature sanitarie) e consegnare a server terzi i dati sensibili di milioni di cittadini.

Biden correggerà la condotta del predecessore? E’ difficile che accada in breve tempo. Nelle prime dichiarazioni mostra preoccupazione per la pandemia e per il cambiamento climatico. Invoca pacatezza e pazienza.

Se si tratta solo di diverso stile, meno tweet e più confronto, o di mutamento strategico, è presto per dirlo. Di sicuro possiamo sperare in un interlocutore più attento alle istanze degli alleati. Un’Europa determinata accanto agli USA altrettanto determinati è quanto auguriamo agli amici americani e a noi stessi.

di Cosimo Risi

 

 

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