Contributo a fondo perduto respinto. Come rimediare?

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Le domande inoltrate per ottenere legittimamente il contributo a fondo perduto, non possono essere respinte.

Il principio che si invoca è di per sé evidente, come un assioma, e non avrebbe bisogno di essere dimostrato.

Nella fase di riscontro, però, le cose non stanno così, e allora bisogna ricorrere alle fonti normative per provare che per le imprese che ne hanno diritto, l’aiuto di Stato spetta per legge, senza fraintendimenti.

Ad oggi, molte imprese non hanno potuto ricevere il contributo a fondo perduto per un’imprecisa applicazione del sistema informatico.

Il contributo a fondo perduto (non soggetto a imposte) spetta alle imprese in difficoltà, a causa dell’emergenza epidemiologica dovuto alla diffusione del Covid 19, e rappresenta un sussidio elargito dallo Stato come fonte di sostentamento.

Il punto, che impiccia non poco, è lo scarto fatto dalle procedure informatiche, a seguito della verifica della domanda di accesso, presentata telematicamente, pur possedendo i requisiti di legge.

Il “software” verifica solo la data di attribuzione della partita IVA e determina la spettanza del contributo a fondo perduto su tale principio (errato).  Ne discende che per le partite IVA, aperte prima del 1° gennaio 2019, ma non ancora in attività, il fondo perduto viene scartato.

Il legislatore, però, ha disposto che il contributo spetta ai soggetti che hanno la “partita IVA attiva” al 1° gennaio 2019 (art. 1 Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, stessa frase è presente nell’art. 2 del decreto Legge 9 novembre 2020, n. 139).

Anche nel precedente Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34, all’art. 25, c. 4, è riportato:

“Il predetto contributo spetta anche in assenza dei requisiti di cui al presente comma ai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019…omissis”.

La data di apertura della partita IVA, pertanto, per espressa previsione legislativa NON rileva, da sola, per la verifica della spettanza del contributo, ma quel che importa è la data di inizio di attività.

Può capitare che la partita IVA la si apre prima del 1° gennaio 2019 e l’inizio dell’attività avviene dopo il primo gennaio 2019 e, quindi, spetta il contributo a fondo perduto.

Il “software cervellone” dev’essere programmato per verificare quando è iniziata l’attività, al fine di non negare quanto, invece, spetta per legge.

Il legislatore, come previsto in più decreti (innanzi citati), ha disposto che la corresponsione del fondo perduto spetta ai titolari di partita IVA che hanno iniziato l’attività a decorrere dal 1° gennaio 2019, e prescinde dalla data di apertura della partita IVA.

La stessa Agenzia delle Entrate a pag. 5 della GUIDA di novembre 2020, intitolata “I contributi a fondo perduto per i settori economici con nuove restrizioni”, afferma:

“Per quanto riguarda i soggetti che hanno attivato la partita Iva a partire dal 1° gennaio 2019, se la differenza tra l’importo del fatturato e dei corrispettivi di aprile 2020 e aprile 2019 è un valore pari a zero o positivo, la base di calcolo è pari all’importo minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e di 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche”.

E allora chi è che respinge le domande dei soggetti che – pur avendo aperto la partita IVA nel 2018, ma hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019- hanno diritto al fondo perduto?

Le risposte di diniego arrivano, comunque, dall’Agenzia delle Entrate.

Il “software cervellone” va riprogrammato bene, al fine di NON RESPINGERE il contributo a chi ne ha diritto per espressa disposizione di Legge.

Ma allora come fare?

Per alcuni casi è possibile presentare autotutela, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 65 dell’11 ottobre 2020 che a pag. 2 precisa: “al fine di sanare (possibili errori), il soggetto richiedente – anche mediante l’intermediario delegato – può presentare istanza volta alla revisione, in autotutela, dell’esito di rigetto o dell’entità del contributo erogato sulla base di quella già inviata all’Agenzia delle entrate nel periodo di vigenza del processo.

Il modello dell’istanza va trasmesso via PEC alla Direzione provinciale territorialmente competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto richiedente”.

Per taluni casi di diniego, da parte dell’Agenzia delle Entrate, è possibile ricorrere alla Commissione Tributaria Provinciale.

Per approfondire la casistica e le condizioni previste per l’autotutela e i casi di correzione di errori, si rinvia alla risoluzione n. 65 dell’11 ottobre 2020.

 

Luca De Franciscis
dottore commercialista

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