I rischi sottovalutati del nuovo anno (di Giuseppe Fauceglia)

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Nell’attuale dibattito politico, al netto di inutili messaggi provenienti dai partiti, non si registra alcuna seria posizione su argomenti vitali per il futuro del Paese. In questa riflessione non intendo soffermarmi sul ritardo che ormai, sia a livello europeo (vedi le dichiarazioni del Commissario agli Affari Economici, on. Gentiloni) sia a livello nazionale (mi riferisco all’interessante articolo di Sabino Cassese sulle pagine del Corriere della Sera), viene denunciato sull’incongruenza ed insufficienza delle politiche di governo per poter fruire del Recovery Plan, quanto affrontare altre problematiche, ad oggi del tutto trascurate.

Quando la crisi finanziaria investì l’area euro una decina di anni addietro, la risposta delle autorità fu bifronte. Per salvare i governi dal default, il sistema europeo puntò sulla c.d. condizionalità, ovvero sull’idea che ogni prestito poteva essere concesso ai Paesi dell’Unione a condizione che i benefici fossero sottoposti a riforme interne e a rigide politiche di bilancio; per le banche, invece, venne tollerato l’approccio opposto, i governi che avessero voluto salvare le banche potevano intervenire direttamente, senza sottostare alle regole europee degli aiuti di Stato.

Ne approfittarono, come è noto, la Germania e l’Olanda, che diedero luogo a colossali interventi sul capitale delle banche. Il quadro è mutato nel 2013, con l’introduzione di regole sempre più stringenti, che hanno inciso sugli attivi e sui diritti degli azioni e dei creditori depositanti, quali condizioni preliminari e necessarie per poter accedere agli aiuti di Stato.

Con l’implodere della crisi pandemica, mentre per i Governi si è ridotta, o è addirittura scomparsa, la condizionalità delle politiche di bilancio, per le banche, in modo assolutamente illogico, si è introdotta una condizionalità puntigliosa, che mette a rischio la stabilità di sistema.

E ciò nonostante che la Banca Centrale Europea abbia stimato che la recessione da Covid-19 potrà generare in Europa 1.400 miliardi di crediti deteriorati, e un rapporto di fine luglio della stessa BCE abbia previsto, a seguito della grande recessione, la difficoltà di ben 86 istituti di credito nell’area euro.

Ne consegue che è paventata una distruzione del patrimonio delle banche, che nella media si aggira sul 5,7%, e tanto peserà sulle banche più deboli e più piccole, che vedranno ulteriormente ridotto il proprio patrimonio, sempre di più esposto alla rischiosità del rientro dei crediti concessi e non onorati dai debitori. Il risultato sarà la drastica riduzione dei posti di lavoro, la stretta sul credito, le fusioni imposte alle piccole banche con grandi istituti di credito.

E’ evidente, allora, che non si può chiedere, da una parte, un intervento diretto e un aiuto, sempre più crescente delle banche, al superamento della crisi epocale che stiamo vivendo, e, dall’altra, mantenere intatti limiti di bilancio e di operatività così stringenti. Una soluzione potrebbe rinvenirsi nella creazione di una “band bank” pubblica nazionale, costituita su criteri comuni europei. cui trasferire i crediti deteriorati conseguenti alla pandemia, acquisiti a prezzi non speculativi, in modo da non incidere sui bilanci delle banche cedenti.

Immagino già l’opposizione proveniente da qualche lettore: in questo modo si offre un ulteriore aiuto alle banche (sovente dipinte come mostri del sistema), omettendo di considerare che senza un sistema creditizio che finanzi le iniziative economiche, l’intero impianto produttivo del Paese andrà completamente a rotoli, con l’incredibile perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, come presumibilmente avverrà – purtroppo – alla fine del mese di marzo, quando cesserà il blocco dei licenziamenti.

Senza aggiungere che potranno scomparire molte banche locali, in particolare le Banche di Credito Cooperativo, per funzioni e strutture più vicine alle esigenze localistiche e più capaci di favorire la crescita dei territori. Né appare dirimente la questione, più volte agitata, sulle politiche di concessione dei crediti, spesso influenzate da interessi politici o di pura clientela.

Su questi temi non si riscontra alcun intervento da parte di una compagine precaria di navigatori a vista, stretta tra l’atteggiamento di resistenza disperata, quanto frammentata, del movimento 5Stelle, che non ha nelle proprie corde la sensibilità e la competenza di affrontare problematiche così complesse, e l’insofferenza del Partito Democratico, che ha il solo interesse di conservare un “potere” non acquisito con il risultato elettorale.

Tutto questo, in assenza di un’opposizione credibile in grado di costringere la maggioranza a fare il proprio dovere. In questo contesto, intravedo un anno nuovo molto difficile ed esposto alle intemperie del grave momento che il Paese sta vivendo.

Giuseppe Fauceglia

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