Ass. ‘Io Salerno’: Res ad triarios rediit

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Al tempo dei Romani, la vita media era tra i 25 e i 30 anni. Non tanto per l’assenza di medicine contro le malattie, che causavano la perdita di tanti, soprattutto nei primi anni di vita, ma perché c’erano le guerre e si moriva a decina, a centinaia e, spesso, anche a migliaia.

Secondo studiosi, in una sola battaglia contro i Romani, gli Armeni persero 100.000 uomini. A Canne, furono i Romani a perderne almeno 60.000 in 10 ore. Nell’imboscata di Teutoburgo furono perse tre intere legioni, la XVII, la XVIII e la XIX, mai più ricostituite.

Le guerre causavano veri e propri stermini. Per fortuna, allora non si seguivano metodi di limitazione delle nascite e la popolazione comunque cresceva. C’era una esigenza assoluta di nuovi soldati per continuare a combattere.

Per questo, se prendiamo per certa una vita media di 25/30 anni, possiamo dire che, per coprire i 2.000 anni dall’anno zero, ci sono volute ‘appena’ 75 generazioni. Duemila anni sono una enormità temporale e dimostrano tutta la ‘piccolezza’ della vita umana, ma 75 generazioni sono, numericamente, più ‘a portata di mano’.

In sostanza, per venire noi al mondo, sono stati sufficienti 75 ‘parenti stretti’. Non sappiamo quale contributo abbiano apportato ma, messi insieme ad altri, possiamo ben dire che hanno fatto parecchio.

Epperò, se sono cambiate di molto le condizioni della vita, molte cose di quegli anni sono ancora presenti nelle modalità di condurre la vita. Solo pensando al diritto, dotti professionisti tuttora ricorrono alle regole latine dimostrando che i comportamenti degli umani non sono cambiati di molto. E che, quindi, altre regole si potrebbero tranquillamente applicare per affrontare i problemi della quotidianità.

Nello schieramento in battaglia, i Romani erano davvero superiori. Anche se poteva capitare di uscirne sconfitti.

L’esercito del periodo repubblicano veniva disposto a scacchiera su tre file: davanti gli ‘astati’, giovani baldanzosi e desiderosi di combattere, in mezzo i ‘principi’, più esperti e cauti, e dietro i ‘triarii’, veterani di tante battaglie, il cui compito era quello di difendere la posizione quando ‘astati’ e ‘principi’ fossero stati costretti a retrocedere posizionandosi nei vuoti della scacchiera. Nell’accoglierli, si chiudevano stretti dietro agli scudi per formare una barriera di contrasto in attesa di recuperare le forze o dell’intervento della cavalleria posta sui lati.

Quando i ‘triarii’ erano costretti a entrare in battaglia, i comandanti si preoccupavano assai del suo esito, per quanta fiducia potessero avere nella capacità di resistere e contrattaccare. Così, la frase ‘res ad triarios rediit’ significava che se l’erano vista brutta, ma che erano comunque riusciti a vincere. Cosa che succedeva spesso.

Oggi, viviamo in un mondo di pericoli di ogni genere, in massima parte frutto della insipienza dei tanti che hanno organizzato la vita consentendo l’insorgere di squilibri intollerabili tra gli umani e di coloro che hanno ritenuto giusto instaurare un rapporto conflittuale con la natura.

Nella nostra Città, come dappertutto, ci sono oggi situazioni difficili e i problemi sono di una tale complessità da rendere indispensabile il contributo di tutti i cittadini, pur nel rispetto delle singole capacità e condizioni.

Tra i giovani, dispersi scolasticamente e disorientati dagli eventi, si diffondono comportamenti di disinteresse, di egoismo, di prepotenza, di menefreghismo, di insofferenza, indotti da un’altra regola del tempo dei Romani: ‘mors tua, vita mea’. Poteva andare bene allora, oggi è proprio inaccettabile.

La Città ha ‘tirato i remi in barca’ e chi avrebbe la possibilità di fare qualcosa si astiene da ogni coinvolgimento, forse perché assalito dalla disillusione o da un sentimento generalizzato di frustrazione, di abbandono, se non di depressione. E, i nemici, rappresentati dagli effetti devastanti della crisi, avanzano.

Come intervenire?

Potrebbe essere certamente utile la baldanza dei giovani, più o meno professionalizzati, sperando nella loro volontà di cambiamento. Ma, i fatti stanno dimostrando che sembrano più orientati a cambiare sé stessi, appena possibile.

Potrebbe essere utile l’esperienza dei ‘più maturi’. Epperò, ‘tenendo famiglia’, c’è il rischio che pensino a sistemare i propri figli, piuttosto che dare un futuro a quelli degli altri.

Così, forse, abbiamo anche noi bisogno di ricorrere ai ‘triarii’ e, in particolare, a quelli, tra essi, in grado di apportare onestà, esperienze e conoscenze.

Quando la battaglia volgeva al brutto, i ‘triarii’ accoglievano gli ‘astati’ e i ‘principi’ chiudendosi tra una barriera di scudi contro i quali si abbattevano, spesso inutilmente, gli eserciti nemici.

Il loro era un compito complesso di difesa della posizione, di protezione delle loro vite e di salvaguardia di quelle dei loro compagni per tornare, insieme, a combattere. Forse, questa visione di unità e questa condivisione di una sorte comune erano il vero segreto delle tante battaglie vinte dai Romani.

Davvero, oggi, abbiamo necessità dell’aiuto dei ‘triarii’.

Questa Città ha bisogno di amore.

e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com

pagina fb: Associazione io Salerno

 

6 Commenti

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  • Sentite a me a filosofia non serve andate a lavorare nei campi no io devo diventa gegnere

  • Penso che ci sarebbe bisogno di coerenza, onestà, lealtà, legalità…….
    Ma purtroppo chi ci amministra non conosce questi valori….

  • Credo però che ci sia una differenza.
    I triarrii degli antichi eserciti romani intervenivano in aiuto dei più giovani (astati e principi) quando questi erano costretti a ripiegare. Ma le prime file erano formate da combattenti di prim’ordine che il più delle volte davano la vittoria in battaglia. Ovviamente essi avevano il massimo rispetto per i più esperti triari che intervenivano in loro aiuto e soccorso, quando necessario.
    Non è la stessa cosa oggi. I giovani vanno avanti allo sbaraglio e vogliono tutto e subito, anche se privi di adeguate conoscenze e preparazione. Quanto al loro rapporto verso gli anziani, hanno atteggiamenti o di supponenza, oppure li irridono, oppure li accusano di avere negato loro il futuro.
    Più che triari, quasi ancore di salvataggio, sarebbero solo un inutile impaccio.
    Per fortuna che ci sono anche delle eccezioni!!

  • Ci sono adulti che non vogliono insegnare al più giovane, hanno atteggiamenti di supponenza ed a volte di prepotenza verso di essi. Io essendo giovane la vivo in prima persona, ma poichè mi faccio rispettare questi che rappresentano la categoria dei guappi adulti, abbassano la cresta.
    Ricordiamoci che essere adulti non vuol dire poter prevaricare sul più giovane. Il rispetto deve esserci da ambedue le parti. Se ci sono ragazzi sboccati, è vero anche il contrario. Vero anche che ci sono adulti che hanno la testa solo per dividere le orecchie. Ovviamente ci sono le dovute eccezioni.
    Se prima di tutto c’è rispetto, c’è anche dialogo fra adulti e giovani.

  • X 15:51
    Bisogna intendersi su cosa è il rispetto e quindi il dialogo.
    La supponenza si manifesta quando in tanti casi gli anziani vengono considerati meno che vecchi bacucchi, quando non si vuol tenere conto che, specie nei difficili anni del dopoguerra, si sono rimboccate le maniche per ricostruire un paese distrutto e creare condizioni di relativo benessere. tramandate poi a figli e nipoti, cioè i giovani di adesso. È ancora supponenza che, ciò nonostante, si continui a considerarli quali autori di furti sul futuro dei discendenti. E se l’accusa ricorrente è che hanno rovinato l’ambiente e consumato le risorse naturali, di questo non sono gli unici responsabili. Non considerei degli ingenui angioletti i giovani che, con i loro stili di vita, non disdegnano il consumismo, con tutte le conseguenze che provoca.

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