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“L’orgoglio respinge il dubbio, la ragione gli dà il benvenuto” (di G. Fauceglia)

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Ho voluto dare il titolo di questa mia riflessione utilizzando un aforisma dello scrittore francese Pierre  Marc Gaston de Lévis , vissuto tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento.

Intendo partire dalla constatazione che la “cultura liquida” della rete, con le sue false certezze che circolano e si affermano in comunità “chiuse” ed omogenee, si presenta oggi come il peggior nemico  della “cultura del confronto e del  dubbio”, che si fonda su conoscenze diffuse, accessibili e confrontabili tra soggetti con diverse opinioni e di opposte formazioni.

In fondo, oggi assistiamo ad una pericolosa manifestazione della distruzione deliberata del sapere, fenomeno in sé antico quanto la creazione del sapere stesso.

La tendenza ad aggredire la conoscenza risale alla storia della biblioteca del re assiro Assurbanipal, distrutta con la caduta della città di Nineva nel 612 a. C., per finire con la distruzione della biblioteca di Mosul da parte dell’Isis nel 2014, senza dimenticare il rogo dei libri del maggio 1933 nella Germania nazista e il bombardamento della biblioteca di Lovanio nel 1940.

I “libri”, ovvero il complesso di biblioteche ed archivi necessari per combattere la manipolazione della verità, sono ormai esposti al tentativo di essere deprivati della loro funzione, attaccati da potenti nemici esterni, uccisi dall’indifferenza e dall’ignoranza (fenomeno profeticamente anticipato nella seconda metà dell’Ottocento dal breve romanzo di Octave Uzanne, “La fine dei libri”). Come non citare, poi, Ray Bradbury, che nel romanzo “Fahrenheit 451” ricorda che non è necessario distruggere i libri, basta impedirne la lettura.

Sono costretto a questa breve introduzione, per esporre che oggi il pericolo insisto nella manipolazione delle notizie nella rete e dalla rete, porta all’affermazione di una tendenza, neppure esplicitamente “teorizzata”, finalizzata alla distruzione del “libro” (l’espressione è, naturalmente, intesa in senso ampio).

Si tratta di una delle manifestazioni di quello che è stato definito “capitalismo della sorveglianza” ovvero di un’umanità completamente governata dalla dittatura dell’algoritmo, sviluppata nell’utopia negativa della sharing economy.

L’utopia della “metropoli pacificata” si regge sulla falsa conoscenza derivata da un click, sull’accesso alle informazioni rinvenienti nella rete, sulla sostituzione delle faticose competenze acquisite in decenni di studio con poche righe scritte da illustri sconosciuti.

La negazione del valore della conoscenza è poi emersa con l’esplodere dei diversi fenomeni del populismo, da quello politico a quello giudiziario, il cui dato comune resta caratterizzato dalla negazione dei principi della civiltà occidentale derivanti dalla tradizione dell’illuminismo.

I soliti anonimi commentatori diranno che si tratta di argomenti vecchi ed abusati, che oggi, con la fine della democrazia rappresentativa tutte le decisioni devono essere affidate alla rete, dalla quale poi è possibile trarre anche il bagaglio cognitivo.

Oggi, invece, combattendo nella trincea della difesa della conoscenza, abbiamo il dovere di non cedere a pulsioni irrazionali, di ricordare, ad esempio, che la giustizia non può essere vendetta e che la qualità della funzione giurisdizionale non si misura sulla base degli anni di galera che vengono inflitti, in un contesto in cui la proporzionalità della pena cede il posto all’estremismo sanzionatorio.

Si tratta di impulsi che nascono e si sviluppano proprio nell’ assenza di confronto e di conoscenze che si afferma, a volte, nella rete con le sue “comunità” (come ricorda sgomento anche Papa Francesco, ma già prima Papa Benedetto XVI). La liberazione dalle catene che il capitalismo della sorveglianza tenta di mettere alle nostre menti, deve fondarsi sul valore del “libro” e sulla sua funzione educativa e formativa.

Giuseppe Fauceglia

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