Ass. ‘Io Salerno’: tu dai una cosa a me, io do una cosa a te

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La guerra era finita da un bel po’, ma nelle piccole case, della piccola Frazione, del piccolo Comune di collina, se ne sentivano ancora gli effetti.

Tutti vivevano insieme e si aiutavano. La Nonna, che aveva le galline e la capretta, scambiava le uova e il latte, talora anche le povere galline, con la pasta, la farina, per fare il pane, e la carne, che si mangiava la Domenica e, a volte, anche il Giovedì. Si faceva baratto, per vivere, applicando un principio di grande umanità: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. Altri tempi, duri ma belli, nei quali si condividevano le speranze mettendo in comune i beni essenziali di proprietà di ciascuno.

La scorsa settimana, abbiamo parlato dei cosiddetti ‘beni comuni’, cioè di ‘quelle cose’ offerte a tutti da un ‘Unico Proprietario, da qualcuno non riconosciuto come tale, in virtù di un ‘diritto di partecipazione’ acquisito con la nascita. E, abbiamo detto che, secondo il comitato di studio Rodotà, sarebbero tali quelli in grado di esprimere “utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” secondo le sensibilità mutevoli di ciascuna Comunità.

Non ci ripetiamo sul resto, ma ci preme sottolineare che, trattandosi di beni indispensabili, come aria e acqua, o utili allo sviluppo fisico, alla crescita culturale, al miglioramento sociale, essi dovrebbero essere a disposizione di tutti e tutelati da tutti per poter offrire il loro contributo, in eguale misura, alle vite che verranno.

Rispetto a tale riflessione, c’è stato chi ha replicato che il mondo deve andare avanti e non può essere ingessato da ‘lacci e lacciuoli’ in grado di impedire il necessario sviluppo.

E’ giusto, e nessuno obietta, su questo, nella consapevolezza della necessità di proseguire lungo il percorso che ha fatto dimenticare le clave e le caverne. Epperò, noi pensiamo sia inaccettabile ‘modernizzare’ aggredendo i beni in ‘prima fila’, quelli indispensabili, e che il possibile utilizzo economico di quelli in ‘seconda fila, o più giù’, debba essere almeno subordinato al riconoscimento di un giusto indennizzo alla Comunità, applicando lo stesso principio del dopo-guerra: noi diamo una cosa a voi e voi date una cosa a noi.

Convinti di questo, nel commento della scorsa settimana, abbiamo chiesto un risarcimento per il riproposto progetto del Polo della Nautica a Capitolo San Matteo, in fondo alla litoranea, e la restituzione alla libera fruizione di una eguale estensione di spiaggia in altra zona della Città.

In verità, sarebbe pure un ripiego giacché, per noi, il mare ‘urbano’ costituisce un ‘bene comune primario e intoccabile’. A quei tempi, la Mamma ci portava a respirare lo iodio, di prima mattina, a esporci al sole, con la cremina, e a lasciare il sale sulla pelle, dopo il bagno. E, la Nonna faceva le ‘sabbiature’ contro i dolori. Perché tutto questo ci viene vietato, oggi?

Così, abbiamo ritenuto di illustrare meglio il nostro pensiero partendo dalle informazioni pubblicate in data 07/08/2020 dal sito ‘blog.urbanfile.org’. Non ne abbiamo lette di diverse.

Si legge: “Il Capitolo San Matteo potrà operare per imbarcazioni fino a 25 metri e 30 tonnellate. L’estensione complessiva è di 185mila metri quadrati, di cui 100mila per ventisei lotti con 50mila mq di aree coperte … Il collegamento con il mare è garantito da un piazzale a terra, da un piazzale banchinato a mare e da un pontile lungo 300 metri e largo 17 metri”.

Dalle specifiche tecniche, emerge che l’opera sarà causa di una ‘COLMATA DI CEMENTO’, dall’ultima rotatoria della litoranea fino al Picentino, e avrà una darsena per l’alaggio e il tiraggio delle barche con bracci a protezione dalle mareggiate. Cioè, non sarà un porto per il diporto, secondo il progetto. In ogni caso, non saranno più fruibili le spiagge intorno, per legge, come già accade per il lungomare e Torre Angellara (fonte: Regione). Peraltro, chi farebbe più il bagno in quella zona? Così, gli arenili liberi, destinati ai cittadini più deboli, si ridurranno a poche centinaia di metri rispetto ai circa 11 Km di costa. I conti li abbiamo esposti nel commento di Mercoledì scorso.

Il progetto recupera quello precedente, del 2012, poi annullato a causa di una partecipazione poco convinta da parte delle imprese, sembra per il costo eccessivo dei suoli (ca € 150mq), e per difficoltà indotte da vincoli archeologici ed idrogeologici nonché da contrasti negli espropri (fonte: LaCittà). Forse, però, ci furono anche altre ragioni. Comunque, le aziende che avevano versato l’acconto sono state rimborsate. Allora, chi può assicurarne ora l’esito favorevole visto che, intanto, sono cessate diverse attività? Non facciamo i nomi. E, ancora: dei 200 posti di lavoro previsti, quanti saranno quelli al netto dei già occupati? Ricordiamo che il Marina Arechi avrebbe dovuto creare 800 posti di lavoro (fonte: Il Mattino citato da usf.uss). Quanti sono, oggi, gli effettivi?

Infine: se solo il molo costerà dai 20 ai 25milioni di euro, da prendere a mutuo, come pubblicamente dichiarato, non sarebbe più proficuo disinquinare il mare, fare la doppia rete fognaria, recuperare le Chiese del Centro Storico e le tante zone degradate, sostenere la ripresa economica in un momento di così gravi difficoltà? Chi vive una drammatica crisi non avverte, riteniamo, il bisogno di avere una barca. E, ancora, è utile mettere un ‘tappo’ verso Pontecagnano bloccando la litoranea dove è stata progettata un’area ‘dunale’ con il ripascimento? Forse, c’è qualcosa che proprio non va.

Certo, i proprietari di barche hanno diritto di fare il bagno in acque pulite, al largo, ma ci appare inaccettabile espropriare, per questo, i cittadini che non hanno neppure i soldi per andare a Paestum. Per la nautica da diporto esiste una ottima soluzione collegata alla specializzazione del porto commerciale e al suo recupero alla Città. Un porto destinato alle crociere, alle vie del mare, ai traghetti ro-ro e alle aziende della nautica, con intorno un quartiere riqualificato, attività ricettive per i turisti, negozi, tanto verde e parcheggi, darebbe grande dignità e molti più posti di lavoro qualificato nel rispetto delle esigenze di tutti. Ne abbiamo parlato in precedenza, ultima il 03/06/2020 (pg. FB).

Per accrescere i posti barca che, comunque, non ci saranno al Capitolo, si può ampliare e trasformare il ‘Masuccio’ in un vero ‘borgo marinaro al centro del centro’. Come a Trani, per chi c’è stato. Anche di questo, abbiamo già parlato il 13/03/2019 (pg. FB).

Per favore, facciamo una riflessione, superando interessi e intransigenze, per ben valutare se sia opportuno lasciare ai nostri figli degrado, gallerie, costoni tremolanti, gas e inquinamento, invece di ‘beni comuni’ in grado di dare salute, lavoro e vita. Oppure, decidiamo come ripagare i più sfortunati e più deboli per la sottrazione di uno spazio primario che, per questo, è intoccabile.

Questa Città ha bisogno di amore e, talora, anche di riflettere meglio.

e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com

pagina fb: Associazione io Salerno

2 Commenti

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  • Sono d’accordo con voi…è giusto evitare questa colata di cemento…però manca la credibilità da parte di chi sistiene un vecchio sindaco che ci tolse il mare del porto con acque cristalline e devastò la zona orientale con case a ridosso del mare senza un minimo progetto per sfruttare la risorsa ma per il bene dei palazzinari. Un po’ di onestà intellettuale per essere più credibili. Tenete fuori i vostri ideali politici e sarete più credibili. Però son d’accordo al progetto inutile.

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