Regno Unito, altri 4 mila contagi: preoccupa variante indiana, rinviate le riaperture?

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Riaprire o non riaprire tutto il 21 giugno, come promesso? Questo è il problema, e il dilemma, di Boris Johnson e di tutto il governo inglese dopo una sensibile crescita nel Paese di casi della cosiddetta “variante indiana” del coronavirus, la quale sembra essere più contagiosa di altri ceppi e che difatti oramai rappresenta la stragrande maggioranza delle nuove infezioni per Covid quotidiane nel Regno Unito (circa il 60-70% del totale). Tanto che qualche esperto scientifico già parla di inizio di “terza ondata” del virus.

Eppure proprio oggi si è registrato un record straordinario: nessun morto per Covid in tutto il Regno Unito nelle ultime 24 ore, cosa che non succedeva addirittura dall’inizio della pandemia. I numeri dei nuovi casi non sono altissimi: si parla di circa o meno di 4mila al giorno, tra l’altro su almeno un milione di tamponi. Insomma, in apparenza non ci sarebbe troppo da preoccuparsi. Invece, secondo diversi esperti, sì. Per varie ragioni.

La prima, più intuitiva, è che, come già visto in passato, l’impatto esponenziale del coronavirus lo si vede dopo diverse settimane e non immediatamente. Dunque potrebbe covare una terza ondata, anche se sinora non è ancora esplosa.

La seconda ragione è che i nuovi casi coinvolgono soprattutto giovani (che non sono ancora vaccinati visto che la straordinaria campagna vaccinale britannica sinora ha raggiunto “solo” dai 30enni in su) oltre a coloro che hanno ricevuto una sola dose (13,8 milioni contro i 25,5 milioni con due dosi) e coloro più anziani che hanno avuto la possibilità di vaccinarsi in questi mesi, ma che per un motivo o per l’altro non lo hanno fatto. Per questo, si sta cercando entro il 21 giugno di vaccinare con due dosi perlomeno tutti gli over 50 nel Regno Unito. Cosa che comunque non sarà decisiva per far rispettare l’attesa data di riapertura e il cosiddetto ritorno alla normalità, in quanto è noto che l’immunizzazione tocca il picco dopo 3 o anche 4 settimane l’inoculazione ricevuta.

Ciò porta alla terza ragione, forse la principale: che impatto reale avrà la cosiddetta variante indiana del coronavirus in un Paese dove il 74,8% degli adulti è vaccinato con una dose e il 48,5% con un’ulteriore seconda dose? Questo non lo sa nessuno e lo si vedrà soltanto empiricamente. C’è però un dato reale diffuso dalla sanità pubblica inglese negli ultimi giorni. Secondo le prime rilevazioni, infatti, sia il vaccino di Pfizer che quello di AstraZeneca con una sola dose sarebbero efficaci solo al 33%  contro un decorso sintomatico (lieve o più grave) della variante indiana. Mentre, dopo il richiamo, questa immunità sale all’88% per Pfizer e al 60% per il siero di Oxford e della multinazionale anglo-svedese.

I numeri della variante indiana sinora sono ben lontani dai tragici picchi del coronavirus di gennaio-febbraio. Allora c’erano circa 1.300 morti al giorno per Covid nel Regno Unito, oggi addirittura zero (anche se qui è weekend lungo di festa e nei festivi il bilancio è più basso come in Italia). I casi ieri sono stati 3.383 contro i picchi di 70mila quotidiani di gennaio. I pazienti ricoverati in ospedale 133, contro i 4.300 al giorno di qualche mese fa. Insomma, molto pochi. Eppure è la tendenza che desta una certa preoccupazione: nell’ultima settimana le nuove infezioni sono state 23.418, ovvero 5.239 in più rispetto alla settimana precedente, per un incremento del 28,8%. E oramai la variante indiana sembra già diffondersi nel Paese e nella capitale Londra, dopo i primi focolai a Bolton e in altre città. I decessi degli ultimi sette giorni invece sono stati 58, 18 in più del periodo precedente (+45% in una settimana). Mentre i ricoveri registrati negli ultimi 7 giorni sono 870, 164 in più (+23,2%) rispetto alla settimana prima.

Di qui le preoccupazioni del governo inglese e soprattutto degli scienziati: questo potrebbe essere solo l’inizio di un trend più marcato. O forse no, grazie ai vaccini che proteggeranno decine di milioni di persone? Non lo sapremo mai prima di vedere i dati reali. Ma certo, nel dubbio, molti esperti implorano di non rischiare. Uno dei principali, il dottor Ravi Gupta, ha chiesto al governo di posticipare la data della riapertura totale almeno di qualche settimana, se non di un mese, perché in questo momento le scuole sono ancora aperte e dunque l’aumento dei contagi tra i più giovani con la variante indiana sarà scontato nei prossimi giorni. Non a caso, oggi la premier scozzese Nicola Sturgeon ha bloccato il rilassamento delle restrizioni in gran parte della Scozia previsto nel breve futuro, come la sua proverbiale cautela ha dimostrato durante il corso della pandemia.

In realtà, dopo i disastri dell’anno passato, anche il governo Johnson è stato particolarmente cauto nel 2021: il terzo lockdown totale è durato praticamente quattro mesi mentre si è vaccinato massicciamente il Paese, e solo ora si sta riassaporando la “libertà” oltremanica: da qualche settimana hanno riaperto pub, ristoranti e bar anche all’interno, insieme a palestre, piscine e tutti i negozi non essenziali (ma non le discoteche). Il 21 giugno, sulla “road-map definitiva” contro il Covid, potrebbe essere il giorno del “ritorno alla normalità”, o come vuole chiamarlo qualcuno “il giorno dell’indipendenza”, perché, se tutto dovesse andare bene, dovrebbero cadere gli ultimi limiti come il distanziamento sociale, il tetto alla partecipazione di eventi pubblici e, almeno prima dell’arrivo della variante indiana, potenzialmente anche l’uso delle mascherine. Cosa ora molto improbabile.

Nonostante il grande successo vaccinale di Boris Johnson, anche qui però il primo ministro sembra aver commesso un errore: ossia non interrompere i voli e le connessioni con l’India in marzo e aprile quando la pericolosità della variante era già nota agli esperti. Il governo britannico invece decise di non muoversi subito e dunque aspettò troppo. Anche perché, a fine aprile, Johnson era atteso per la sua prima visita ufficiale all’estero proprio in India, cruciale per l’espansione commerciale e geostrategica della sua “Global Britain” post Brexit. A Whitehall si dice da tempo che Londra abbia aspettato fino all’ultimo prima di mettere New Delhi in lista rossa del Covid proprio per non irritare il premier indiano Modi alla vigilia della trasferta di Johnson, poi rinviata per la seconda volta proprio per la recente strage del Covid nell’ex colonia. Aspettare troppo nel primo lockdown del marzo 2020 fu un errore catastrofico per il primo ministro. Le conseguenze delle eccessive esitazioni contro la variante indiana sono ancora tutte da decifrare.

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